La prescrizione, da vent'anni, è un cantiere eternamente aperto. Quella che passerà alla storia come riforma Nordio, targata governo Meloni, è una delle tante in breve tempo. Cerchiamo di capirci qualcosa, cominciando dall'inizio per arrivare al 2024 e agli effetti prevedibili e imprevedibili.
CHE COS'È LA PRESCRIZIONE
La prescrizione è un istituto di diritto (in questo caso penale, ma esiste anche nel civile) che fa sì che ci sia un termine entro il quale un reato può essere perseguito dalla legge, per evitare di celebrare processi quando lo Stato non ha più interesse a punire il fatto e a reinserire il reo, essendo trascorso troppo tempo. Non avrebbe senso processare un nonno di famiglia, nel frattempo diventato integerrimo, per una rissa commessa in gioventù. Non è un male anzi, è un principio di civiltà giuridica, il problema semmai è nelle norme che stabiliscono come viene applicata.
La prescrizione esiste con modalità diverse i tutti i Paesi democratici di civil law (quelli come l'Italia fondati su un sistema di leggi scritte, un po' diverso nei sistemi di common law come l'Inghilterra in cui il diritto è fondato sul precedente) essenzialmente per tre ragioni.
1. Quando un fatto è troppo lontano nel tempo, l’interesse dello Stato e della società a vederlo sanzionato affievolisce. Non per caso generalmente si prescrivono prima i reati di minore gravità e, nella maggior parte dei casi, non si prescrivono mai i gravissimi, come l’omicidio volontario aggravato, la strage, i crimini contro l’umanità.
2. Quando lo Stato non interviene a perseguire il reato in tempo utile diventa difficile ricostruire una verità, perché gli anni dilavano le tracce del fatto dalla realtà e dalla memoria delle persone.
3. La fissazione di un termine oltre il quale un reato non può più essere perseguito dovrebbe “sanzionare” l’inerzia dello Stato nell’azione penale: se non si muove per tempo, non può più farlo, anche per evitare che chi ha commesso un reato, anche lieve, si trovi a doverne rendere conto magari dopo quarant’anni quando ormai è una persona diversa e la società non ricorda più.
Non tutti i reati scadono
La prescrizione è la data di scadenza di un reato: quando scatta “scade” anche il processo che si conclude con proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione. Il termine si calcola sulla base del massimo della pena previsto nel Codice penale, ed è proporzionato alla gravità del reato. I reati puniti con l’ergastolo, come l’omicidio volontario o la strage, non cadono mai in prescrizione.
Prescrizione o assoluzione, qual è la differenza
Capita sovente, soprattutto ai potenti incappati in un processo, di salutare la sentenza che certifica l’avvenuta prescrizione come se fosse un’assoluzione: non è così, non esattamente. Se il giudice ritiene che al momento dell’intervenuta prescrizione il reato non sia stato accertato è obbligato a pronunciarsi per l’assoluzione. Diversamente, se sussiste un sospetto di colpevolezza o magari anche la prova piena (cosa che solo le motivazioni della sentenza possono chiarire nei dettagli), deve dichiarare l’avvenuta prescrizione.
L'eterno cantiere
In Italia, a differenza che in altri Paesi l’orologio della prescrizione penale, che scatta al momento in cui il reato viene commesso, non si ferma al compimento di determinati atti dello Stato né al rinvio a giudizio, come avviene - con meccanismi diversi comunque volti a evitare che la prescrizione del reato avvenga a processo in corso vanificando il lavoro della giustizia - in molti altri sistemi. Da quando nel 2005 la legge cosiddetta ex Cirielli ne ha accorciati i tempi per gli incensurati, moltiplicando i casi di giustizia negata per processi prescritti dopo essere stati celebrati quasi per intero fino alla Cassazione, la prescrizione è diventata non solo un simbolo politico da agitare per i governi che si susseguono, ma un cantiere aperto da un punto di vista tecnico, oggetto di una revisione continua che, conclusa la riforma Nordio, la vedrà agire con 5 sistemi diversi in meno di dieci anni: vuol dire processi che iniziano con un regime, vanno in appello con un altro e in Cassazione con un altro ancora, nella più semplice delle ipotesi, e calcoli che vanno e vengono con un rischio di errore elevato e con un matematico elevatissimo grado di instabilità insufflato nel sistema.
Un fattore disfunzionale in sé: primo perché a questo ritmo non si può mai sapere quale sia l'impatto effettivo di una riforma sul mondo reale perché tempo che si rilevano i dati è già cambiata; secondo perché ogni modifica aggiunge a un sistema già complesso e in affanno un nuovo fattore di complessità. Questo indipendentemente dal merito del cambiamento, ma per il fatto stesso che vorticosamente si cambi.
La legge ex Cirielli
Nel 2005, la legge, la cosidetta ex Cirielli, ha dimezzato la prescrizione per gli incensurati: il risultato è che una corruzione che prima del 2005 si prescriveva in 15 anni ora si prescrive in 7, una violenza sessuale che prima si prescriveva in 22 anni e mezzo ora si prescrive in 12 e mezzo e via seguitando. La legge in realtà era stata proposta da Edmondo Cirielli per aumentare la prescrizione in caso di recidiva. Emendamenti intervenuti in Parlamento – denunciati da molti come ad personam di berlusconiana memoria – l’hanno tradotta in una mannaia su molti processi: di qui la qualifica di “ex” Cirielli, perché il testo della legge, così modificato, è stato rinnegato anche dal suo relatore che non ha voluto legarlo al proprio nome.
Lavoro sprecato
La prescrizione scatta al momento in cui il reato è stato commesso, ma sovente, a meno che chi lo commette non venga preso con le mani nel sacco o che non parta una denuncia, la notizia di reato arriva alla magistratura o alle forze dell'ordine molto dopo. Si pensi ai casi di corruzione che spesso restano per anni sottotraccia, prima che ne emerga un indizio, si pensi al disastro ambientale i cui effetti sulla salute delle persone possono rivelarsi anche dopo anni.
Se è vero che la prescrizione in sé serve anche a evitare l’inerzia della giustizia (e in Italia ha agito talvolta anche come improprio calmiere a una patologica e multifattoriale lunghezza del processo), è almeno altrettanto vero che in molti casi, dopo l'impatto della ex Cirielli, ne ha vanificato il lavoro e l’efficacia, perché si è arrivati a scoprire che un reato era stato commesso quando la possibilità di assicurare alla giustizia il colpevole, completando i tre gradi di giudizio, in un sistema con procedure molto complicate e con moltissimi processi in corso (due tra i fattori responsabili di processi innaturalmente lunghi), era già minata in partenza da termini troppo stretti.
La riforma del 2017 (ministro Orlando)
Per provare a ovviare a questo problema, nel 2017 è intervenuta una riforma che ha sospeso per un tempo fisso (al massimo 18 mesi) la prescrizione dopo la sentenza di condanna di primo grado e, di nuovo, dopo la condanna in appello. Quale sia stato l'esito di questa riforma nel mondo reale è difficile da valutare perché vissuta poco. Essendo una norma di diritto sostanziale (come tutte quelle che modificano il Codice penale) non poteva essere infatti retroattiva e non si applicava ai reati commessi prima della sua entrata in vigore. Per vederne gli effetti sul sistema - più o meno processi prescritti rispetto a prima - sarebbe stata necessaria una casistica con applicazione stabile dal primo grado alla Cassazione-, ma nel corso di tre anni le le regole della prescrizione sono state cambiate nuovamente per l'entrata in vigore il primo gennaio 2020 della riforma Bonafede. La riforma Orlando destò perplessità in alcuni addetti ai lavori che vedevano nell’ancoraggio alla sola sentenza di condanna una sperequazione tra imputati (assolti e condannati in primo grado): due pesi diversi, di fronte a sentenze egualmente non definitive. Questo tema rientra uguale con la riforma Nordio votata alla Camera nel 2024.
RIFORMA BONAFEDE, BLOCCO DOPO IL PRIMO GRADO
La riforma Bonafede (di cui potete capire pro e contro a questo link), sostenuta dal M5S e approvata all’inizio del 2019 al tempo del cosiddetto Governo giallo-verde, modificava in modo radicale la corsa dell'orologio della prescrizione, prevedeva infatti il blocco della prescrizione penale dopo la sentenza di primo grado sia di assoluzione, sia di condanna. Al momento dell’approvazione definitiva si era stabilito di dilazionarne al 1° gennaio 2020 l’entrata in vigore per dare il tempo di attuare una (invero complicatissima) riforma del processo penale intesa a ridurre l’annoso e multifattoriale problema italiano della lunghezza del processo. La riforma complessiva, un po’ per il cambio del Governo un po’ perché obiettivamente di difficile scrittura, non è arrivata nei tempi previsti.
È rimasta la riforma Bonafede della prescrizione con il blocco entrata in vigore il primo gennaio 2020. Trattandosi anche in quel caso di diritto sostanziale, si applicava ai reati commessi dal primo gennaio 2020 in poi, il che avrebbe dato tecnicamente il tempo di immaginare correttivi contro il rischio di processi infiniti. La riforma però non convinceva una parte della maggioranza che sosteneva il secondo Governo Conte e si cercò subito un superamento con il cosiddetto lodo Conte bis. Il rischio, sempre in questi casi, è di trasformare un delicato fatto tecnico, che andrebbe riformato con grande attenzione alle ricadute pratiche, in un problema tutto politico in cui le ricadute pratiche rischiano di passare in secondo piano.
RIFORMA CARTABIA, L'ISTITUZIONE (CONTROVERSA) DELL'IMPROCEDIBILITÀ
Nel 2021 con la Riforma Cartabia le regole della prescrizione penale vengono nuovamente riscritte: alla prescrizione penale sostanziale che resta tale fino al primo grado, si aggiunge dal secondo grado una sorta di prescrizione processuale: nel caso in cui il processo di appello non si definisca entro i termini stabiliti dalla legge, viene dichiarata improcedibilità: questo significa che la sentenza impugnata sia di condanna sia di assoluzione viene "travolta" dal "non doversi procedere". Esito di compromesso politico nel tentativo di "salvare" la riforma Bonafede e insieme di evitare che lo stop definitivo alla prescrizione in primo grado si ripercuotesse sulla ragionevole durata del processo rischiando processi eternamente pendenti, l'improcedibilità è uno dei punti più controversi, dagli addetti ai lavori, della complessa riforma Cartabia che ha toccato penale, civile e ordinamento. Il decreto attuativo dell'ottobre 2022 ha previsto norme transitorie per definire i processi in corso.
Riforma Nordio, si torna indietro quasi
Neanche 15 mesi dopo si riscrive la prescrizione di nuovo: alla Camera è passato il testo della riforma Nordio. Si cancella l'improcedibilità, si torna a un sistema simile a quello delle riforma Orlando, con differenti tempi di sospensione della prescrizione anziché due tranche da 18 mesi, una sospensione di due anni dopo la condanna in primo grado e una di un anno dopo la condanna in appello. Fanno eccezione alcuni reati connessi al codice rosso che prevedono una sospensione più lunga. I tempi di sospensione tornerebbero però nel conto finale in alcuni casi: se i giudici di appello o di Cassazione depositassero la loro motivazione oltre il termine massimo di sospensione della prescrizione. Se nel grado in cui ha agito la sospensione o in quello successivo l'imputato fosse prosciolto o la sentenza di condanna annullata. Tornerebbe a operare la sospensione invece, se dopo una sentenza annullata in Cassazione, ci fosse un giudizio di rinvio in Corte d'appello. Se questo testo diventasse rapidamente legge, sarebbe la quarta riforma in sette anni.
NIENTE NORME TRANSITORIE, RISCHIO CAOS NEL SISTEMA
Se la riforma Cartabia aveva previsto almeno una norma transitoria per applicare correttamente le nuove regole ai processi in corso, gli emendamenti che prevedevano questa possibilità anche per la riforma Nordio alla Camera sono stati respinti. Era una richiesta giunta nel novembre scorso da una lettera inviata il 22 novembre 2023 al Ministro della Giustizia e ai Presidenti delle commissioni giustizia della Camera e del Senato, e, per conoscenza, al Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia dai presidenti delle 26 Corti d'Appello.
Si spiegava infatti che le modifiche costringeranno Corti d'Appello e Cassazione a rivedere tutti i calcoli e di conseguenza l'organizzazione del lavoro volta a evitare il più possibile improcedibilità/prescrizione dei processi tra secondo grado e legittimità, calcolati in base alle regole cambiate nel 2021/22. Tenuto conto che nel penale si viaggia tuttora con faldoni di carta, un aggravio di tempi e di complessità, anche logistica, enorme. Non solo, ogni volta che una norma del codice penale cambia, va applicata la legge più favorevole all'imputato. Ma nella complessità dei calcoli richiesti a processi nati e passati nei diversi gradi in tempi diversi, con norme diverse che sono cambiate in corsa 4 volte in 7 anni, non è semplice né automatico stabilire quale sia la norma giusta da applicare. La preoccupazione è condivisa dal Csm che ha votato in merito un parere che segnala rischi per gli obiettivi del Pnrr.