Jane Gondwe, malawiana, coordinatrice di Dream a Blantyre. In copertina: un bambino seguito dal centro della Comunità di Sant'Egidio.
«Ho 43 anni e un figlio. Sono andata all’ospedale all’inizio del 2001 e sono risultata positiva al test Hiv come mio marito, che purtroppo è morto nel 2004». Inizia così la testimonianza di Jane Gondwe, malawiana. «Lui era malato ma, come altri uomini, non mi aveva detto nulla. Ero furiosa per quello che mi stava accadendo: dovevo occuparmi del mio bambino e di alcuni nipoti anche loro resi orfani dall’Aids, ho dovuto lasciare la casa in cui abitavamo».
Verso la fine del 2005 è arrivato il turno di Jane: si è ammalata. Racconta: «Ho perso il mio lavoro, ero un insegnante in una scuola privata. Questo stigma è una discriminazione che tutti i malati di Adis vivono ancora oggi in Malawi».
All’ospedale chiedevano troppi soldi per la cura, condannando i poveri a morire: «Sono rimasta a casa senza fare niente, poi ricoverata in attesa di morire. Ero disperata e sentivo scivolare via corpo e anima».
Il Centro Dream di Blantyre, in Malawi.
All’inizio del 2006, grazie al suggerimento di un amico, è successo quello che Jane chiama «la mia resurrezione», l’incontro con il programma Dream della Comunità di Sant’Egidio. «Un’amica italiana», ricorda, «mi disse che avevo trovato una nuova famiglia. Da tempo nessuno voleva più prendersi cura di me». Infatti il destino segnato per i malati come Jane era la morte, troppo costoso curarli in un periodo in cui si preferiva puntare unicamente sulla prevenzione e su imponenti ed economiche campagne informative. Giustissime, ma rimaneva il problema di chi la malattia l’aveva già contratta.
«Dream», racconta Jane, «ha scelto di combattere l’Aids unendo cura e prevenzione. Io non ci volevo credere: i farmaci antiretrovirali erano gratuiti, potevo tornare al centro quando avevo un dubbio o non stavo bene, mi chiedevano spesso se avevo preso con regolarità le medicine. Insomma, a noi malati Dream ha ridato la dignità, dicendoci che a qualcuno importa della nostra vita».
Oggi, a dieci anni da quell’incontro, Jane è diventata la coordinatrice del centro Dream di Blantyre. Più vigorosa che mai. Con la sua forza di vita spiega a coloro che leggono “positivo” nel test che l’Hiv non è una sentenza di morte. «Quando ho capito che non sarei morta», dice, «ho subito pensato di emigrare in Sudafrica per cercare un lavoro».
Molti lo fanno in Malawi, un Paese che si colloca al 174° posto su 187 Stati nell’Indice di sviluppo umano dell’Onu. Poi però a Jane è arrivata la proposta di lavorare nel movimento “I Dream”, una figura chiave nel progetto di Sant’Egidio. Una delle prime attiviste, la mozambicana Ana Maria Muhai, raccontava divertita che, nel vederla di nuovo camminare per strada, i suoi vicini non potevano credere che fosse lei e la pizzicavano per accertarsi che non fosse un fantasma. Girava portando con sé una foto di quando era “un fantasma” per mostrare che con le medicine anche un corpo arrivato a pesare 28 chili e coperto di ferite poteva tornare a vivere. Chi parla con donne “risorte”, come Ana Maria e Jane, sente il “contagio positivo” della loro vitalità.
Jane insieme a uno dei bambini del Centro Dream.
«Non basta distribuire i farmaci antiretrovirali», spiega Jane, «una parte fondamentale della terapia è la relazione umana: le persone che vengono al centro si sentono sole e abbandonate, ma il clima di amicizia aiuta ad accettare la malattia e le spinge a impegnarsi per seguire la terapia nel modo più corretto».
Blantyre è la città più popolosa, ma il Malawi è un Paese prevalentemente agricolo: «Dal centro Dream monitoriamo le famiglie che vivono nelle zone rurali, in capanne sparse per la savana. Capita talvolta che un bambino orfano affidato alla nonna, o un adolescente arrabbiato per la malattia, smettano di curarsi». È fondamentale in questi casi il ruolo delle cliniche mobili e le visite delle attiviste. Queste zone sono particolarmente povere, messe in ginocchio lo scorso gennaio dalla peggiore alluvione degli ultimi 50 anni e dal congelamento degli aiuti internazionali, nell’ottobre 2013, da parte della Banca Africana per lo Sviluppo, del Fondo monetario internazionale, degli Usa e di molti Stati europei a seguito di uno scandalo di corruzione che ha travolto il Paese.
In Malawi Jane è diventata famosa: partecipa a tanti incontri con Sant’Egidio, anche all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, interviene alla radio e alla televisione per invitare a sottoporsi al test. Prima paziente, poi attivista, ora coordinatrice (6.000 pazienti in cura) di uno dei 42 centri Dream sparsi in 10 Paesi africani.
Il programma, nato nel 2002, ha finora curato un milione e mezzo di africani e 55 mila bambini sono nati sani grazie ad un corretto trattamento delle donne incinte. A settembre scorso, Jane è venuta in Italia per raccogliere fondi: «Un paziente costa 600 euro l’anno (fra terapie, analisi, assistenza domiciliare, sostegno nutrizionale e controlli), mentre con 500 euro si può far nascere un bimbo sano da una madre sieropositiva».
Al centro oltre la metà dei pazienti sono donne. Jane rivede la sua storia nella loro: «Talvolta i mariti si oppongono a fare il test e a curarsi, danno la colpa alle mogli e arrivano a rifiutarle. Le donne sono più forti, spesso spinte dal pensiero dei figli, vogliono stare meglio in fretta per occuparsi di loro».
Un aspetto a cui Dream dà molta attenzione è la malnutrizione: «Alle madri suggeriamo di portare i bambini per pesarli e sottoporli a check-up fino all’età di 18 mesi e assicurarci che non siano sottopeso. È facile infatti che i neonati muoiano entro il compimento del primo anno di vita perché non mangiano abbastanza e dunque sono più esposti alla malaria, alle infezioni respiratorie e alla diarrea».
In Malawi il 10% della popolazione è affetto da Hiv, mentre la malattia ha reso orfani 530 mila minorenni. Eppure è un esempio di successo, poiché finalmente il numero dei pazienti in trattamento con i farmaci antiretrovirali supera quello delle nuove infezioni, ridotte del 73% tra il 2001 e il 2011. Insomma, il piccolo Paese africano ha invertito la rotta, proprio come la vita di Jane, incontrando la “globalizzazione della solidarietà” di Dream.