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giovedì 12 settembre 2024
 
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La riscossa dei serial

14/12/2018  Tutti li guardano e tutti ne parlano. Alle radici di un fenomeno che sfida il cinema e rende simpatici anche i personaggi imperfetti. «Se hanno così successo è perché hanno dietro un budget da capogiro e sono realizzate con grandi standard qualitativi. E poi rendono facile l’immedesimazione», spiega l’esperta Daniela Cardini

Siete appassionati di, come si diceva, sceneggiati televisivi? Quando finisce una puntata non vedete l’ora di scoprire cosa succede in quella che segue? Dimenticate l’attesa che caratterizzava la serialità. Oggi la “prossima puntata” è subito, o meglio, quando vogliamo noi. Le serie tv sono diventate prodotto di punta del piccolo schermo e stanno cambiando il modo di vedere la televisione. Daniela Cardini, docente di Teorie e tecniche del linguaggio televisivo alla Iulm, ha dedicato a questo tema un interessante saggio, Long Tv. Le serie televisive viste da vicino (Unicopli), in cui approfondisce il fenomeno mediatico più discusso degli ultimi anni. Fenomeno di tale qualità e così accattivante da venire considerato temibile rivale del cinema. «La serialità contemporanea riesce a svilupparsi anche su 12 ore per stagione e offre la possibilità a registi e attori di esprimere meglio la creatività dando vita a prodotti di grande qualità». Una qualità permessa anche dai costi elevati di produzione. Per le prime due stagioni di House of Cards Netflix ha investito cento milioni di dollari. Il costo di un episodio di The Crown o della sesta stagione di Trono di spade è di dieci milioni. La professoressa Cardini ci racconta gli esordi: «Il punto di svolta è stato Lost nel 2005, sia per formato e contenuti che per fruizione. Un successo enorme che per primo ha scatenato i “fandom”, le comunità di fan che comunicano e commentano sui social la loro passione».

Poi è arrivato Netflix, la piattaforma in cui tutti i contenuti si trovano già pronti all’uso (tecnicamente: “streaming on demand”), con i suoi 130 milioni di abbonati nel mondo. Insieme ad Amazon Prime, Infinity e Tim Vision, e senza dimenticare il modello Sky e persino Rai Play, ha cambiato il modo di guardare la Tv. Offrendo tutte insieme le puntate di una stagione, ha stravolto il rito dell’appuntamento settimanale ma, soprattutto, ha dato nuova linfa alla serialità. L’abbonamento a una di queste piattaforme permette di decidere come (Tv, Pc, tablet o smartphone), quando e quanto vedere la propria serie. C’è chi, tra i giovanissimi, fa indigestione (il cosiddetto binge watching) e chi ancora sceglie di assaporare: «Un po’ come in libreria, una volta che si è in possesso di un libro si può decidere quando e come leggerlo. E poi dipende anche dal prodotto. Per esempio The Crown, che racconta la vita della regina Elisabetta, non si presta al consumo bulimico. Va gustata con una modalità che definisco “tantrica”, cioè apprezzandone i particolari».

Ma nelle nuove serie tv cambia anche la costruzione: «Una serialità che si basa su una puntata settimanale ha la necessità di mantenere il cliffhanger, cioè l’espediente di troncare l’episodio lasciando in sospeso un interrogativo tale da spingere lo spettatore a non perdere la puntata successiva. Nel modello on demand (Netflix e le altre) si agisce su due livelli: è importante l’intreccio ma lo è altrettanto il personaggio. Deve avere una forza e una profondità tale da trascinare lo spettatore da una puntata all’altra. Spesso è un antieroe. Una persona moralmente imperfetta ma in qualche misura giustificabile». Pensiamo ai ladri e rapitori de La Casa di carta o al narcotrafficante di Narcos.

Accanto a tutto ciò resiste la tradizione: «La televisione generalista che si dà per morta non lo è. Ha solo un target diverso per età. La fiction Rai funziona sempre. Pensiamo al successo di Don Matteo, Montalbano o della recente L’amica geniale». Suggerimenti: «Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le età. Ne dico due: Downton Abbey, il fascino della vita della nobiltà inglese, per un pubblico adulto, e Tredici per i ragazzi. Che è anche un’occasione per parlare di bullismo».

 
 
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