Centinaia di commenti razzisti e violenti sulla pagina Facebook del quotidiano il Messaggero Veneto di Udine, in cui ben al di là dell'incitamento all'odio, sono stati sostenuti inviti a “gasare”, “bruciare”, “bombardare”, “mitragliare” e “sgozzare” i rifugiati del centro di accoglienza della Croce Rossa nella ex caserma Cavarzerani, continuano a suscitare polemiche e commenti. Il tema, più che la manifestazione di razzismo violento, che purtroppo non è una novità, è l'elemento scatenante di una reazione di massa tanto impressionante. Un titolo del quotidiano locale che, prima sul proprio sito e poi a tutta pagina, la prima, lanciava un allarme sociale molto forte per una presunta “rivolta” dei rifugiati.
In proposito l'associazione Carta di Roma, che si occupa di dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione (siglato dal Consiglio Nazionale dell'ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa), ha sottolineato ieri la necessità di “abbandonare sensazionalismo e imprecisione, in favore di un racconto che aderisca in tutto e per tutto ai fatti; pesare le parole valutando il contesto in cui l’articolo è diffuso; garantire accuratezza anche nel momento in cui si fa uso dei social per comunicare in diretta gli avvenimenti”. Il tema è dunque l'abusare in generale da parte della stampa di termini come “invasione” e “emergenza” o, come in questo caso, “rivolta”.
E infatti a Udine quel che è accaduto è che i rifugiati hanno semplicemente protestato. Lo dice il comunicato ufficiale della Croce Rossa emesso nella stessa giornata: “A seguito della protesta messa in scena questa mattina all’interno del Campo di Accoglienza Cavarzerani riteniamo di dover fare chiarezza rispetto ai motivi che hanno scatenato la manifestazione. Tutto pare nascere da una banale discussione accesasi sabato scorso tra alcuni richiedenti asilo pachistani e afgani. Il motivo della lite pare sia dovuto a futili motivi”.
Ma è lo stesso autore dell'articolo allarmistico del Messaggero Veneto, in una nota inviata ieri a Carta di Roma, a precisare i reali termini della vicenda: “ ... io quella mattina c’ero. E ho visto centinaia di persone inveire, urlare, protestare e minacciare. Di fronte a loro, al di qua del portone di ingresso, una cinquantina almeno di poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili urbani, molti dei quali in assetto anti-sommossa”. E ancora “Certo, non ci sono stati feriti, ma mi domando cosa sarebbe successo senza l’intervento delle forze dell’ordine che dopo due ore di “trattative” hanno riportato la calma”.
Insomma, lo dice lo stesso autore dell'articolo, si è trattato di una protesta, senza scontri con la polizia né atti di violenza, gestita e controllata con prontezza dalla Croce Rossa, responsabile del centro, e dalle forze di polizia, è diventata una “rivolta” usando un metro secondo il quale ogni domenica in tutti gli stadi si potrebbe lanciare un analogo drammatico allarme.
Il che chiarisce meglio il punto di tutta la questione: la protesta di Udine diventa “rivolta” perché a metterla in atto sono dei rifugiati ricoverati in un centro di accoglienza. A questi non è riconosciuto uno dei più elementari diritti umani: quello di lamentarsi (magari rumorosamente, a torto o a ragione). Così nel loro caso, e solo nel loro, il protestare diventa rivolta. Ecco perché i richiami alla responsabilità dei giornalisti e dei giornali da parte di Carta di Roma sono non solo condivisibili, ma dovrebbero trasformare questo incidente in un caso “di scuola” per chi si occupa di informazione.