Sulle orme della famiglia Beltrame Quattrocchi l’ultima sessione di lavori del X incontro mondiale delle famiglie che si sta svolgendo a Roma si interroga sulla santità nelle diverse situazioni. Ne parlano Laura e Alessandro Tacchini, Sorem e Elizabeth Johnson, Stella e Victor Dominguez Acosta, Agnes Sandra Wigianti e Taufiq Hidayat, lui in origine musulmano e lei cristiana, che hanno comincniato a pregare insieme fino alla conversione di lui. Ma ne parlano, soprattutto, Daniel e Leila Abdallah (nella foto di copertina), cristiani maroniti sposatisi in Libano, residenti in Australia e genitori di sette figli, l’ultima di dodici settimane. Daniel e Leila Abdallah raccontano la loro tragedia familiare accaduta due anni fa quando tre dei loro figli, mentre andavano insieme a prendere un gelato, sono stati travolti da un’auto guidata da un ubriaco e sono morti. Raccontano quel momento, i sensi di colpa per aver dato l’autorizzazione ad allontanarsi, la rabbia, ma anche la forza del perdono «che parte da noi, non dobbiamo aspettare che siano gli altri», dice Leila. Una testimonianza straziante, con il ricordo del momento della morte e della preghiera sul luogo dell’incidente, «sette volte una per ognuno dei miei figli» alla Madonna di Fatima, una pesantezza «come se stessi percorrendo una via crucis. I giornalisti erano senza parole, cosa si può chiedere a una madre che ha perso metà dei suoi figli. Ho parlato con il cuore e ho detto, non odio chi li ha uccisi, voglio poter perdonare nel mio cuore, ma voglio che il tribunale sia giusto. Quando i giornalisti mi hanno chiesto cosa potevano fare per noi, ho chiesto di venire a pregare. E così è successo fino al funerale e anche dopo il funerale. I notiziari parlavano di perdono e di fede più che dell’incidente. Tanti si chiedevano come facevo ad avere ancora la fede, come potevo ancora amare un Dio che mi aveva fatto questo, ma, come ha detto Danny, era una cosa più grande di noi». E il marito insiste, «chiunque conosce Leila sa che lei avrebbe perdonato. Noi abbiamo costruito la nostra famiglia sulla preghiera». E il perdono non è più un fatto privato, ma qualcosa che coinvolge la comunità, la città, il Paese, il mondo intero. «Non serve un Dio che ci mette alla prova», dice Daniel, «ma un Dio che ha sofferto prima di noi, che ci ha detto lascia andare me per primo per indicarti cosa fare con il dolore. Dio mi ha mostrato come passare attraervso la peggiore sofferenza e perdonare chi gha fatto questo per non restare fermi a quella notte. Perdonare è una scelta che si fa perché Gesù ci ha chiesto di farlo e ci ha spiegato perché perdonare: “perché non sanno quello che fanno”. Il perdono dà potere, c’è libertà nel perdono, è un segno di forza. È un dono che fate a voi stessi e agli altri. Permette di raggiungere la grandezza e vi guida verso la santità».