Gentile prof, mio figlio, che frequenta la prima superiore, si è trovato ad affrontare una situazione insolita e nuova per lui: l’occupazione della sua scuola prima e l’autogestione dopo. Il primo giorno è tornato a casa, il secondo è entrato e si è ritrovato ad essere l’unico della classe a non partecipare alle assemblee autogestite, forse anche perché in casa abbiamo condannato questa scelta degli studenti non capendone le vere motivazioni. Lui a questo punto si sente a disagio con i compagni e mi chiedo se abbiamo sbagliato nell’essere così categorici nelle nostre posizioni.
CLARA
— Cara Clara, il ritorno alla normalità scolastica sta passando anche dalla ripresa di quei “riti” che prima della pandemia si ripetevano più o meno ogni anno nelle scuole superiori nella maggioranza dei casi in forma di autogestione e, a volte, di occupazione nei casi più conflittuali. Queste sono situazioni fisiologiche che indicano la volontà degli studenti, soprattutto ora, di ritornare a prendersi la scuola e i suoi spazi, corridoi e cortili che, fino al 31 marzo, con lo stato di emergenza, gli erano preclusi.
Capisco quindi che soprattutto gli studenti delle classi prime come tuo figlio, e le famiglie con loro, possano essere rimasti disorientati e abbiano preferito non solo non aderire giustamente “all’occupazione”, che ricordiamo è un’azione illegale in quanto occupazione di luogo pubblico e interruzione di pubblico servizio, ma anche all’autogestione concordata dagli studenti promotori con gli uffici di presidenza delle singole scuole.
Per questa ragione, anche se con lezioni di fatto sospese, gli insegnanti sono in servizio nelle loro classi per chi come tuo figlio non vuole fare le attività alternative proposte. Vanno però anche ascoltate le ragioni che muovono gli studenti organizzatori, solitamente il gruppo di ragazzi che fa parte dei collettivi studenteschi presenti in molte scuole, che non sono sempre e solo pretestuose e utilizzate per saltare una settimana di scuola. Di fondo c’è una richiesta di riforma di un sistema scolastico che i ragazzi sentono come troppo antico e lontano dai loro bisogni.
I ragazzi che oggi protestano sono quella generazione Zeta, nata nel nuovo millennio, completamente immersa nel digitale, dove la dimensione visuale è molto più importante di quella testuale, che non si riconosce più nei codici di una scuola per larga parte ancora gentiliana. Sono ragazzi che hanno vissuto grandi cambiamenti sociali e tecnologici, nonché crisi economiche e pandemiche, e che fanno sempre più fatica a ritrovarsi in contesti scolastici che, sia come spazi, attrezzature e a volte programmi, rispondono ai bisogni di quattro generazioni fa. Ma, cara Clara, ovviamente oltre a tutto questo sarebbe ingenuo negare che ci sia anche il gusto per la trasgressione e la voglia di “vacanza” che tutte le generazioni, per la ragione stessa di essere adolescenti, hanno sempre avuto.