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giovedì 07 novembre 2024
 
 

La scuola in casa, una scappatoia per non vaccinare?

18/05/2018  Una nonna scrive a Alberto Pellai. La figlia è vegana e segue l'omeopatia, ma la cosa che davvero la preoccupa è la scelta dell'"Homeschooling" per rifiuto delle vaccinazioni.

Sono una nonna molto preoccupata. Mia figlia è una convinta seguace di tutto ciò che viene considerato “naturale”. È vegetariana, cura i bambini con l’omeopatia. Non ci vedo niente di male anche se io ho cresciuto i miei figli in modo diverso. Però mi preoccupa molto la decisione che sta per prendere dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale per chi deve frequentare la scuola. La nostra amata nipotina l’anno prossimo dovrà cominciare la scuola primaria, ma i genitori hanno deciso di non vaccinarla e si stanno informando sull’homeschooling, cioè non iscriverla a scuola ma provvedere alla sua istruzione a casa, come consente la legge. Mi sembra una scelta molto estrema.

VANNA

— Cara Vanna, originariamente l’homeschooling è nato per dare a un figlio l’educazione individualizzata di cui, secondo il genitore, ha bisogno e che non è possibile rintracciare nel modello della scuola, pubblica o privata che sia, che offre a tutti la medesima proposta formativa. Ora si sta trasformando in modalità attraverso la quale un genitore costruisce un mondo per il figlio perfettamente rispondente ai propri valori, evitando qualsiasi inferenza e interferenza del mondo esterno che contrasti con i propri principi. Sull’obbligo vaccinale, io, in quanto medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva, ho le idee molto chiare: le vaccinazioni servono e hanno permesso ai nostri figli di ammalarsi molto meno e di morire molto meno di quanto avveniva in passato. Non è una mia opinione, ma un dato scientifico. Lo spiega bene anche Burioni in La congiura dei somari (Rizzoli), dove nel caso del morbillo dimostra, con dati scientifici, che la vera differenza nella riduzione della mortalità per questa malattia è dovuta all’introduzione della vaccinazione, che ha consentito di salvare ogni anno la vita di centinaia di bambini che altrimenti non sarebbero sopravvissuti alle complicanze di una malattia infettiva, considerata da molti, per ignoranza, innocua e senza pericoli. In secondo luogo, sono convinto che le competenze sociali di un bambino si “allenano” soprattutto a scuola, dove non si sceglie chi ci si trova a fianco e si deve imparare a convivere con tutti, anche chi proviene da un’altra cultura o classe sociale. Non sempre è facile, ma lo stesso vale per la vita, che non sempre è “a misura” delle proprie aspettative. E proprio per questo, necessita di buoni allenatori. I genitori allenano già i figli alla vita nella quotidianità. Che lo facciano anche sostituendosi alla scuola e diventando gli unici riferimenti educativi della propria prole, potrebbe rivelarsi controproducente.

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