Come dice la pubblicità, “solo nei peggiori bar di Caracas”. Qui, però, siamo nell’aula del Senato della Repubblica italiana che, già dal nome, Palazzo Madama, inviterebbe a comportamenti - perlomeno quelli verbali - degni di essere ricordati per stile, forma e contenuto. Quanto è invece accaduto in aula alla senatrice Paola De Pin, fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle e ora nel Gruppo Misto, farebbe inorridire anche i più malfamati beoni della capitale venezuelana.
Annunciando, non senza tremare dall’emozione (speriamo) o dalla paura (Dio non voglia) il proprio voto favorevole al Governo Letta, la De Pin ha acceso la miccia del comportamento più volgare e violento che si possa immaginare. I senatori a 5 stelle non solo l’hanno contestata ma anche minacciata, secondo quanto scrive in un tweet il senatore del Pd Stefano Esposito. In particolare, un rappresentante del movimento grillino avrebbe detto alla De Pin: «Ti aspettiamo fuori». Prima, durante l’intervento della senatrice, le urla «Venduta, dimettiti» somigliavano più a un coro di ultras che a una contestazione di qualche singolo esagitato. E vedere in diretta televisiva una rappresentante del popolo leggere a fatica il suo foglio tremolante in mani così terrorizzate lascia sgomenti. Alla fine delle proprie intenzioni di voto è stato inevitabile per la senatrice il pianto, anche se non è mancato il tentativo pudico di non mostrarsi in quello stato.
Ora, i bravi senatori che stazionano al Senato per conto di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dovrebbero capire, magari dopo un documentato sondaggio via Internet fra aderenti, iscritti, simpatizzanti e quant’altro troveranno in Rete, che anche se non si è d’accordo con qualcuno non è il caso di passare per fascistelli di periferia. Così come andrebbe ricordato al presidente del Senato, Piero Grasso, che il suo ruolo prevede anche la capacità in tempo reale di far smettere gazzarre e insulti, minacce e risse, e non di giustificarsi ricordando quando «senatori del Pd mi contrastarono e nessuno chiese l’intervento della presidenza».
Più adeguato, ancora una volta, il presidente del Consiglio, che ha utilizzato una parte della sua replica alle dichiarazioni dei partiti per ammonire chi si comporta in questi modi: «Nessuna minaccia nei confronti di chi cambia idea». Perché, in fondo, di questo si tratta: di una senatrice che ha cambiato modo di pensare, confortata dall’articolo 67 della Costituzione, quello che recita che ogni membro del Parlamento “esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. E vabbè che la memoria va ad altri più o meno illustri precedenti, ma su quegli episodi indaga addirittura una Procura perché parrebbe essersi trattato di compravendita di persone, pur di accaparrarsi un voto in più in aula.
Qui, invece, si tratta di una senatrice che, «pur mantenendo le mie riserve sull’attuale governo» ha detto di sentirsi «costretta a dare la fiducia». Si può dissentire, non c’è dubbio, ma oltre non è possibile andare. Al massimo, con sforzi politici e intellettuali congiunti, si può cercare con le idee e le parole di convincere la senatrice a cambiare parere. Il che appare ostacolo insormontabile a chi sa ragionare solo in termini primitivi, che recitano più o meno così: se c’è da scegliere fra A e B, voti la Rete e a maggioranza si decida. Un principio di democrazia, senza dubbio, ma troppo elementare nella sua rozzezza politica. Quest’ultima essendo capace, per altro, di far inorridire anche i frequentatori dei peggiori bar di Caracas.