A Montelupo le vogliono tutti bene. Il paese della ceramica, che fin dal Medioevo apparecchiava le tavole delle grandi famiglie fiorentine, si è stretto attorno a nonna Pina che a maggio ha spento 113 candeline. C’era anche Viola, studentessa, che ha scritto la “tesina” proprio sulla sua storia. E il sindaco, Paolo Masetti, che sei anni fa si è trasferito qui da Firenze e oggi si sente montelupino a tutti gli effetti, anche perché «fare il sindaco qui è molto più facile, la comunità è solidale e coesa, e questo ci ha aiutato ad affrontare le difficoltà». Di difficoltà nonna Pina, al secolo Giuseppina Projetto, classe 1902, ne ha passate davvero parecchie. «Credo le abbia superate grazie alla serenità e alla fede», spiega Annalisa Nozzoli, responsabile adulti dell’Azione cattolica della parrocchia di San Giovanni Evangelista e nostra affezionata lettrice. È grazie alla sua segnalazione che possiamo raccontare questa storia che parte dalla Sardegna e arriva in questa ridente cittadina dell’entroterra toscano.
Giuseppina, infatti, è nata alla Maddalena da genitori siciliani, terza di cinque sorelle. La sua mamma è morta a 28 anni e il papà, che era cuoco all’ospedale militare, ha affidato le bambine alle suore. Giuseppina è rimasta in collegio fino ai 20 anni. Un regime severo, non privo di punizioni, eppure i ricordi belli sono più numerosi di quelli brutti «perché almeno eravamo tutte insieme e le suore in fondo erano buone». Il ricordo più bello è di quando le famiglie benefattrici invitavano le bambine nell’ovile di campagna, e dopo la festa consegnavano a ognuna un cestino con miele, noci e ricotta. «E poi le suore ci hanno insegnato a ricamare».
Un figlio eroe
Quando è uscita dal collegio, a vent’anni, ha potuto vivere del suo lavoro, ricamando i corredi nuziali. La sua memoria si ferma qui. Qualche sprazzo sulle guerre, che pure ha patito e vissuto. Ricorda solo l’affondamento del sottomarino Trieste «e tutti i genitori di quei poveri marinai che piangevano».
Anche sul suo matrimonio spende poche parole. Probabilmente un matrimonio combinato, come spesso succedeva allora, con un vicino di casa già vedovo con tre figli, che è morto qualche anno dopo. Siamo nel 1961 e Giuseppina decide di partire per Montelupo con Renato, uno dei figli acquisiti che, rimasto disoccupato, aveva trovato lavoro proprio in una fabbrica di ceramica. Da allora Giuseppina è diventata cittadina di Montelupo. Il figlio si è sposato con Giulia, montelupina doc, da cui ha avuto due figlie, Francesca, oggi sposata a sua volta con tre figli, e Maddalena, che vive con la mamma e con la nonna. Renato è morto a soli 39 anni, per salvare un bambino che stava affogando. È medaglia d’argento.
«Sono cinquant’anni che vivo con mia suocera», spiega la signora Giulia. Le dà ancora del “lei”, ma l’accudisce con amore e totale dedizione.
«Per fortuna è sempre stata bene, non ha mai conosciuto ospedali se non per una leggera frattura, qualche anno fa», continua. «Prende pochissimi farmaci e ancora oggi beve il caffè nero la mattina e a pranzo mezzo bicchiere di vino rosso».
Nonna Pina ogni tanto ha vuoti di memoria, ma ricorda benissimo le preghiere che le hanno insegnato in collegio e che recita ogni sera. «Ci tiene a recitare insieme il Rosario, anche se a volte si stanca e lo diciamo un po’ abbreviato», conclude la signora Giulia.
Ritmi a misura d'uomo
Una vecchiaia serena tra le pareti domestiche, in un paese dove i ritmi sono ancora a misura d’uomo. Ne sa qualcosa la nostra lettrice Annalisa Nozzoli, presidente dell’Auser di Montelupo, che riunisce 230 volontari. «La nostra è un’associazione nata da una costola della Cgil», racconta. «Mettiamo a disposizione il nostro tempo per servizi utili alla comunità. Per esempio andiamo a fare i nonni nelle scuole materne e aiutiamo gli anziani nelle case di riposo».
Montelupo è un paese in cui la solidarietà si sposa con la bellezza. La tradizione artigiana non è mai venuta meno e la strada della ceramica è costellata di fabbriche che ricalcano modelli antichi e producono innovazione. Dai preziosi vasi da farmacia di foggia rinascimentale alla ceramica autopulente per le sale operatorie.
«La crisi l’abbiamo sentita anche noi, ma ci siamo rimboccati le maniche». Ivana Antonini ha ereditato la bottega del nonno, la “Ceramica Dolfi”. Tre generazioni di ceramisti e un filo diretto con gli americani, letteralmente ghiotti di queste manifatture. In partenza per gli Stati Uniti servizi di piatti rosso e oro, che un tempo erano l’orgoglio dei Medici, e meravigliose Madonne robbiane. I calchi sono di per sé uno spettacolo. «Sono calchi originali, mio nonno li ha ricevuti come pagamento quando lavorava per la gipsoteca di Firenze», spiega Ivana. In bottega si continua a lavorare dalla progettazione al prodotto finito, come quando le fornaci di Montelupo richiamavano tanti giovani dal Sud e dalle isole. E tra di loro c’era il figlio di nonna Pina.