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domenica 13 ottobre 2024
 
Sergio Rodella
 
Credere

La Sindone è autentica, ecco perché

09/08/2018  Uno scultore padovano, dopo lunghi studi, ha realizzato un modello dell’uomo deposto nel sudario ed è riuscito a dimostrare che non ci sono errori anatomici. «Quel lino ha accolto davvero il corpo di un crocifisso». Intanto, nei giorni scorsi, nuove ricerche sulle macchie di sangue hanno riaperto il dibattito

«Il telo ha avvolto un corpo vero di un uomo alto circa un metro e 80. Questo nessuno lo può smentire». Ora quel corpo è visibile grazie al modello tridimensionale realizzato dallo scultore padovano Sergio Rodella. «Non si tratta di un’interpretazione, ma di una trasposizione dell’immagine impressa sulla Sindone, attraverso misure geometriche e matematiche».

Un lavoro frutto di uno studio anatomico certosino, basato sui parametri dell’uomo vitruviano, supportato dalla certezza che la Sindone è proprio il lenzuolo che ha avvolto Gesù Cristo dopo la morte per crocifissione. «Il cuore mi diceva che quel telo era autentico, ma l’immagine presentava errori anatomici». Come spesso succede, la quadratura del cerchio è proprio lì, sotto gli occhi, però bisogna coglierla. «I sostenitori dell’ipotesi che si tratti di un falso partivano proprio da quegli errori. Ma il mio modello corrisponde del tutto alla doppia immagine, frontale e dorsale, presente sul telo. Dove sta il segreto? Nell’avvolgimento. Il lenzuolo steso evidenzia deformazioni che scompaiono se invece lo si avvolge attorno al corpo. Solo con il tessuto appiccicato, si possono avere misure corrette: la grandezza del cranio, la lunghezza del naso, la distanza fra cranio e torace, il bacino, gli arti... e si evidenziano i traumi al torace e alla spalla, le ferite, tantissime, provocate dai colpi precisi di due flagelli. Là dove non è impressa immagine, io non ho messo nulla».

Non ancora soddisfatto, Rodella ha voluto una prova ancor più tangibile e così... ha “messo in croce” il figlio Emanuele, 41 anni, robusto, istruttore di palestra: «Ho provato un dolore lancinante», dice. Dopo qualche minuto, le gambe erano preda dei crampi. Ho tentato di rilassarle, ma niente. La croce è terribile, anche senza i chiodi, perché ti costringe a una posizione innaturale, con la distensione di tutti i tendini». «La Sindone», riprende Sergio, «ci restituisce l’immagine di un corpo torturato».

Chiamata inaspettata

Servivano competenze di anatomia per trovare questi rapporti. «Ho iniziato giovanissimo all’Accademia. Gli amici dicono che tutta la mia vita è stata preparata a quest’opera». Sergio non si aspettava certo la telefonata dei professori Giulio Fanti e Gianmaria Concheri dell’università di Padova, tra i più noti studiosi del sacro lino, che gli offrivano le immagini da cui partire per realizzare un modello dell’uomo della Sindone. Anche perché era in una fase di riflessione, dopo che, il 2 gennaio 2016, un infarto gli aveva mostrato i suoi limiti. «Pensavo che la mia vita si stesse concludendo, ma ero sereno. Mia moglie era morta da dieci anni, potevo andare anch’io. Invece mi hanno rimesso in sesto, e ho scoperto la “mitezza nel dolore”, cioè mi accorgevo che, se da una parte c’era stato un evento distruttivo, dall’altra ricevevo tanto amore: da chi mi ha soccorso, ai medici, agli infermieri che mi hanno assistito. Ma ero debilitato, perciò avevo deciso di fermarmi e di prepararmi al tempo di Quaresima meditando proprio sulla Sindone. Quando è arrivata la telefonata, l’ho considerata un segno».

Immagine che commuove

  

Il risultato è un’opera unica – al momento in plastilina, in attesa della Provvidenza per poterla scolpire in marmo – che ha richiesto due anni di impegno e che non rappresenta la fine, ma un inizio. «Una porta aperta da cui entrare per cercare oltre. Le persone si pongono in silenzio e raccoglimento davanti ad essa. Quella commozione rimarrà impressa per sempre nella loro anima. Non sappiamo come, dove, quali strade percorra, ma l’arte va a toccare il cuore. E, come l’intuizione, non appartiene a noi, è qualcosa che è dentro di noi. Mi fu commissionato un Cristo in marmo nero del Belgio. In lavorazione, puzzava di marcio. Mi informai. È fatto di sostanze organiche decomposte che poi, sotto una certa pressione, si sono fossilizzate e sono diventate marmo. Mi era tutto chiaro: “Mi sono incarnato nel marciume dell’umanità per elevare gli uomini alla dignità di figli di Dio”».

L’arte sacra è sempre stata parte del lavoro di Rodella, la scelta precisa di un uomo che ha scoperto Cristo a 24 anni, e con il quale mantiene un rapporto dialogante, dinamico, ma anche conflittuale. «La mia conversione è stata un’esperienza talmente straordinaria che non so spiegare, ma che mi ha segnato. I primi tempi lavoravo tantissimo, ma non vendevo. Un giorno mia moglie mi disse che non c’era nulla da mangiare, e avevamo un figlio piccolo. Mi sono arrabbiato con Dio: “O hai fatto un errore nella creazione e mi hai donato un talento che non serve a nulla, o ti dai da fare perché io possa vivere del mio lavoro”. Ho deposto i ferri, rassegnato a morire di fame. Dopo tre ore un cliente mi ha comprato una scultura e ho dovuto interrompere lo sciopero. L’incontro con Cristo non ti fa santo, ti indica una via, e tu ti ritrovi con la tua umanità pesante, difettosa, che non riesci mai a raddrizzare, però hai un punto di riferimento. Anche se vai per strade contrarie, poi Dio ti recupera: è questa la sua misericordia, ed è ciò che mi dà forza».

L’esempio di Margherita

Forza che Sergio ha sempre ricevuto anche dalla moglie, mancata 13 anni fa, a soli 48 anni. «Margherita, con la sua fede incrollabile, è stata per me un grande sostegno. Poi si è ammalata. Ma l’esperienza della malattia – ce lo siamo detti poco prima che lei morisse –, sono stati gli anni più belli della nostra vita. Sembra una contraddizione, però c’era una grazia speciale che ci avvolgeva. Non ci sono termini umani per spiegare quella perfezione di amore, di vibrazione, che c’era tra noi, come se fosse quello il momento del matrimonio vero e proprio».

Foto di Lisa Boccaccio

Sacra Sindone, nuovi studi riaprono il dibattito

  

Nei giorni scorsi ha suscitato scalpore la pubblicazione di una nuova ricerca sulla Sindone che considera realizzate ad arte alcune delle macchie di sangue. Lo studio, comparso sul Journal of Forensic Sciences, firmato dal chimico Luigi Garlaschelli (Università di Pavia e membro del Cicap, Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze) e dall’antropologo forense Matteo Borrini dell’Università di Liverpool, ritiene false le tracce di sangue che si trovano sotto la regione lombare del corpo, in quanto incompatibili con la posizione di un uomo crocifisso. Tesi che però altri esperti del settore considerano «assai discutibile». Tra questi ultimi ci sono Gianmaria Concheri e Giulio Fanti, secondo i quali lo studio è «scientificamente limitato» perché non prende in considerazione le diverse posizioni che potrebbe avere assunto il corpo e il grado di fluidità del sangue dell’uomo crocifisso. In una nota, l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha dichiarato che qualsiasi analisi scientifica deve partire dal «principio della neutralità» e che qualsiasi risultato «non inficia minimamente il significato spirituale e religioso della Sindone quale icona della passione e morte del Signore». [P.R.]

 
 
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