Sarà stata la profonda solitudine. La stessa che si respira a volte camminando nei corridoi di una grande scuola affollata di ragazzi e di colleghi. O forse, meglio, l’isolamento fatto di sguardi e di sospetti, di insulti e critiche feroci mascherati da sorrisi di circostanza. Mentre leggo in sala professori del suicidio del maestro elementare francese Jean Willot, che insegnava alle elementari Flammarion di Eaubonne, un comune a un’ora di treno a nord-ovest di Parigi, i pensieri si affollano.
Per i colleghi era calmo, un cinquantasettenne esperto, più dolce che severo. Ma la mattina del 14 marzo scorso, dopo aver accompagnato sua moglie in stazione e averle detto di aver bisogno di prendere aria, va nel bosco e viene ritrovato dalla polizia nel pomeriggio, dopo ore di ricerche, impiccato a un albero. Lascia una lettera che grida, proclama innocenza, lo libera del peso soffocante di doversi difendere di persona da accuse assurde. Quelle che qualche giorno prima gli erano state mosse dai genitori di un suo piccolo allievo di 6 anni, una denuncia formale per «violenze aggravate su un minore», alla quale era seguita la convocazione in rettorato da parte della direzione della scuola in cerca di una spiegazione. Ed è a spiegarsi che quella mattina sarebbe dovuto andare, a giustificarsi, a dire con forza che non aveva fatto niente di male. Aveva soltanto chiesto a un bambino di spostarsi dalle scale, alla fine della ricreazione: è seduto sui gradini, i compagni non riescono a passare. Ma il piccolo non si muove, risponde male. E il maestro allora ci prova e ci riprova: è in una brutta posizione, pericoloso per sé e per gli altri. Alla fine che si può fare se non prenderlo per un braccio e spostarlo di peso? Ma il piccolo striscia la schiena sulle scale. Si graffia. E una volta a casa racconta, c’è la prova, riceve vendetta. Il giorno dopo i commissari raccolgono la denuncia dei genitori e il maestro le loro offese telefoniche. Una riposta estrema, quella del professore, a una frustrazione comprensibile.
Alzando gli occhi da ciò che leggo ho davanti quelli di una collega più anziana di me. Non c’è bisogno di dire, ci si capisce. Non ha retto, pensiamo entrambe. Perché se l’ambiente di lavoro per ognuno presuppone rapporti civili con colleghi e superiori e può in ogni dove essere ostile, a scuola questo non si sopporta, non di questi tempi. Occorre, almeno dentro, un fronte compatto, comune, soprattutto tra docenti e dirigenti. Perché l’anello che teneva ancorati alle famiglie non tiene più, le minacce di denunce sono all’ordine del giorno, e a finire dalle aule di una classe a quelle di un tribunale il passo è breve.
Da mesi gli insegnanti francesi protestano perché non si sentono protetti dalle istituzioni, che raccomandano di non alimentare i problemi parlandone troppo. È questo ad essere inaccettabile: il sospetto, la mancanza di un dialogo costruttivo interno, di un ruolo educativo da rispolverare tutti insieme e da rimettere bene in vista.
È una trincea che richiede unione e nervi saldi la scuola di oggi. E a volte qualcuno cede. Per stanchezza, per debolezza, o per mille problemi personali, non è dato sapere. Sicuramente perché non è facile sopportare la rottura di una relazione educativa e di un rapporto di fiducia in un mestiere in cui ogni apprendimento passa attraverso lo sguardo, il contatto, la parola. Siamo corpi in mezzo ai corpi, non c’è una porta d’ufficio da chiudere che lascia fuori gli altri: in aula, nei corridoi, in sala docenti siamo immersi insieme nello stesso liquido.
Allora occorre essere tutti consapevoli della necessità di una giusta distanza. Perché dopo aver studiato e approfondito, aver appreso come creare relazioni e come compilare verbali ai docenti di oggi non resta che imparare a prendere le misure: tenere il timone senza diventare zuppi, ascoltare senza essere trascinati dal canto, annusare il profumo senza esserne inebriati. Vivere pienamente ma consapevoli che per aiutare davvero chi nuota e potrebbe andare a fondo, famiglie che annaspano tra fragilità e carte bollate, deboli ragazzi ribelli che urlano aiuto scagliando in aria le mani, occorre stare su, agire dall’alto, ben saldi tutti insieme, ancorati a una scialuppa.