Si continuano a estrarre resti umani dalla macerie del devastante attentato che sabato 14 ottobre ha insanguinato il centro di Mogadiscio, la capitale della Somalia. I morti finora accertati sono almeno 320, mentre i feriti sono 500. Oltre un centinaio di morti sono ancora da identificare, molti non verranno mai trovati. La forza dell’esplosione li ha di fatto disintegrati. Alcuni feriti sono stati trasferiti in ospedali di altri Paesi. La Turchia ne ha accolti 40, altri sono stati assistiti a Gibuti. Altri feriti saranno curati in Kenya, dove centinaia di persone sono andate negli ospedali per donare il sangue (la Somalia non dispone di una “banca del sangue”).
Si tratta di uno degli attentati più gravi nella storia del terrorismo, una specie di “11 settembre” africano, che colpisce uno dei paesi più fragili e instabili del continente. La strage è stata provocata da un camion imbottito di esplosivo (almeno 350 chilogrammi) che i terroristi hanno fatto saltare in aria nel cuore di Mogadiscio, all’esterno dell’Hotel Safari, in una zona piena di uffici, bar e ristoranti. L’esplosione è stata accentuata dallo scoppio di un camion carico di carburante che si trovava nelle vicinanze. La folla in strada è stata divorata da una palla di fuoco. L’attentato doveva coinvolgere anche un minivan, fermato però a un posto di blocco. Si ritiene che il vero obiettivo dei terroristi fosse il compound che, nelle vicinanze dell’aeroporto, ospita varie ambasciate, sedi di organizzazioni internazionali e la base della missione militare di peacekeeping dell’Unione Africana. I posti di blocco li hanno costretti ad anticipare l’esplosione.
Il massacro non è stato ancora rivendicato, ma il presidente somalo Mohamed Abdullahi Farmajo ha detto ad Al Jazeera che l’attentato porta “le impronte digitali” del gruppo jihadista al-Shabab, già responsabile di molti attacchi a Mogadiscio, in altre località somale e anche nel confinante Kenya.
“Credo che ci sarà la rivendicazione, ma forse si rendono conto che per loro si tratta di una tremenda responsabilità”, ha aggiunto il presidente, il quale ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Secondo quanto riferisce il Guardian, che cita fonti investigative somale, il responsabile dell’attentato potrebbe essere un ex militare dell’esercito somalo. L’uomo avrebbe così voluto vendicare un raid compiuto nel suo villaggio due mesi fa da parte dell’esercito somalo in collaborazione con le forze speciali degli Stati Uniti. Il raid a Bariire (50 chilometri a ovest di Mogadiscio), alla fine di agosto, provocò la morte di 10 civili, fra I quali 3 bambini fra i 6 e i 10 anni. Resta da capire se l’ex militare ha complicità con gli al-Shabad, oppure se l’attentato può essere maturato in un contesto differente.
Gli Stati Uniti sono coinvolti in operazioni militari contro i jihadisti al-Shabab da una decina di anni. Secondo il Bureau of Investigative Journalism, dal 2007 ad oggi ci sono stati in Somalia almeno 52 raid aerei americani. Ci sarebbero state anche operazioni di terra. In Somalia sono già 400 i soldati americani con i “boots on the ground” (gli stivali sul terreno, secondo il gergo militare). Ora l’amministrazione Trump potrebbe rafforzare l’azione contro gli al-Shabab, che si stanno comunque rivelando un osso duro, grazie soprattutto al loro radicamento nel sud del Paese.
Ancora una volta, come in tante altre occasioni, una strategia di intervento puramente militare ha il fiato corto. A gennaio, nei giorni della transizione fra Obama e Trump, un documento riservato dedicato all’Africa sui tavoli dell’amministrazione si poneva la domanda: “Stiamo combattendo al-Shabab da un decennio, come mai non abbiamo ancora vinto?”.
Intanto in queste ore la comunità internazionale si è mostrata poco partecipe del lutto che ha colpito la Somalia. Le vittime del terrorismo in Africa e in Medio Oriente diventano di serie B. Di loro però si è ricordato il papa. Nell’udienza del mercoledì papa Francesco ha voluto ricordare le vittime della strage di Mogadiscio con queste parole: “Desidero esprimere il mio dolore per la strage avvenuta qualche giorno fa a Mogadiscio, Somalia, che ha causato oltre trecento morti, tra cui alcuni bambini. Questo atto terroristico merita la più ferma deplorazione, anche perché si accanisce su una popolazione già tanto provata. Prego per i defunti e per i feriti, per i loro familiari e per tutto il popolo della Somalia. Imploro la conversione dei violenti e incoraggio quanti, con enormi difficoltà, lavorano per la pace in quella terra martoriata”.