Dietro
il suo sorriso, la passione per quello che fa e una fede irrorata
dalla spiritualità francescana. Ma gli occhi di Giuseppe Mangano,
che tutti chiamano Peppe, celano la preoccupazione per un futuro
professionale nebuloso e quantomeno incerto. Anche se lui –
assicura – vive il suo lavoro di educatore, anzi di “pedagogista”,
proprio “come una missione”.
Trentasette
anni compiuti, Peppe vive con i suoi genitori perché non ha ancora
raggiunto un’indipendenza economica: un anno fa ha perso la sua
occupazione perché il Comune di Reggio Calabria – ora
commissariato – «ha tagliato i fondi anzitutto al sociale e alle
famiglie, quindi anche al progetto educativo individualizzato portato
avanti dalla nostra cooperativa
"Centro giovanile don Italo Calabrò",
gestita da laici. E poi noi pedagogisti non abbiamo neppure alle
spalle un ordine professionale che tuteli i nostri diritti».
Lui
continua a inviare curricula, a fare colloqui, «con il desiderio di
risolvere questo stallo: fermo non riesco a stare. E, a malincuore lo
dico, sono disposto anche a lasciare la mia terra pur di risolvere
questa situazione».
Forse
Peppe sarebbe diventato un ragioniere se, quando frequentava
l’Istituto tecnico commerciale a Villa San Giovanni, non si fosse
imbattuto in un libro di pedagogia di sua sorella, studentessa alle
magistrali. In quelle pagine scopre Maria Montessori ed è, per così
dire, un “colpo di fulmine”.
Dopo
il diploma il ragazzo si iscrive a Scienze dell’educazione
all’Università di Messina, fra gli atenei più longevi d’Italia:
fu fondato nel 1548 da sant’Ignazio di Loyola come primo collegio
della Compagnia di Gesù.
Nel
2003 Giuseppe si laurea con una tesi (neanche a dirlo)
sull’educazione montessoriana che è costruttrice di pace; poche
settimane fa, dopo un decennio, raggiunge il secondo traguardo
accademico in Scienze e tecniche di psicologia delle relazioni
educative: «Affiancando i ragazzi, mi sono reso conto
dell’importanza di conoscere più a fondo le dinamiche familiari:
uno strumento in più per aiutarli. Anche se resto un pedagogista, la
psicologia mi sta servendo per aprire gli orizzonti in modo diverso
alla stessa pedagogia», spiega.
Ma
veniamo alla “mission”: nel 2004 in un campo rom a Reggio, poi
accanto ai minori a rischio. Poveri, devianti, disabili, ex detenuti.
In mezzo, un’esperienza ad Assisi in cui fa «la scoperta della
bellezza, della pedagogia profonda di Francesco, che agisce prima di
predicare, che parla con il suo esempio: insomma, come educatore ci
sa fare!».
Attinge
anche da questa esperienza per il suo impegno in parrocchia accanto a
giovani universitari, per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela,
per il servizio gratuito in varie circostanze.
Il
suo lavoro s’intreccia a doppio filo con la vita quotidiana, è un
tutt’uno con la sua identità profonda. Incontrando nelle loro case
tanti ragazzi in difficoltà, stabilendo con loro un patto educativo
“a domicilio” – sottoscritto anche dalle famiglie –, Peppe ha
visto con i suoi occhi cambiamenti sorprendenti in positivo, oltre ai
fallimenti e ai "successi parziali".
Siccome
è uno dei pochi pedagogisti “maschi”, gli vengono affidati
soprattutto ragazzi per elaborare un “piano educativo
individualizzato” della durata di circa un anno. Uno dei suoi
ragazzi «aveva
un ritardo mentale medio-grave e si è diplomato all’Istituto
agrario; ora cerca di aiutare la sua famiglia lavorando la terra alla
periferia di Reggio, in un territorio disagiato»,
ricorda con un pizzico di soddisfazione, menzionando altri interventi
su adolescenti «autistici
oppure borderline. Il percorso era mirato a modificare il
comportamento deviante: dalla violenza all’irruenza o
all’iperattività. L’obiettivo? Non togliere i figli ai genitori,
ma compiere un atto pedagogico di supporto nel modello relazionale,
coordinandosi e cooperando con i genitori. Un cammino non facile»,
ammette.
Un
altro bambino «aveva
vissuto una tragedia familiare: il padre era morto di infarto davanti
ai suoi occhi e lui non riusciva più a esternare i suoi sentimenti,
né ad andare in bicicletta per mancanza di equilibrio, anche se in
precedenza era la sua passione. Pian piano, ha cominciato a parlarmi
di se stesso, ad aprirsi verso la madre e il fratello».
Perché il compito di un pedagogista è proprio quello di «aiutare
un altro a camminare con le proprie gambe, senza creare dipendenze».
Nonostante
sul territorio i minori in difficoltà siano moltissimi e gli
educatori pochissimi, a Reggio la scure dei tagli non ha risparmiato
anzitutto il sociale. Le cooperative sono in panne. «Una
situazione pesante, con cui si convive. La fede? Mi aiuta tanto, se
non ci fosse sarebbe un dramma. Al termine di una conferenza tenuta
tempo fa in un liceo classico, uno studente ateo mi ha chiesto se
fossi credente e chi fosse Dio per me. Dato che amava molto le
scienze, mi è venuto in mente di usare la metafora della
comunicazione tra neuroni: non si toccano, ma c’è una fessura che
permette il collegamento tra loro. Ecco, Dio per me è quella
fessura».