Non era uno facile Niki Lauda, né quello prima maniera, detto il “computer”, campione del mondo nel 1975, né quello seconda maniera, ma sono in tanti a riferire che lo spaventoso incidente del Nürburgring del 1976, da cui si salvò restando seriamente ferito mentre la sua monoposto andava a fuoco, aveva un poco smussato la sua proverbiale freddezza, che il film Rush, dedicato alla sua rivalità con James Hunt, invece forse accentua negli spigoli, per rendere il chiaroscuro, i contrasti tra i due “caratteri” in senso psicologico e teatrale.
Il film è tra i meglio riusciti del genere, perché Ron Howard con riprese da vicino risolve con efficacia quello che da sempre il grande limite del cinema sportivo: la credibilità delle scene agonistiche, in questo caso favorito dal fatto che si stratta di macchine non di corpi alle prese con il gesto atletico e ricostruisce, nella sostanza correttamente, la storia della rivalità sportiva tra il pilota austrico e il collega inglese James Hunt, iniziata quando i due erano ancora in Formula 3 (categoria cui appartengono le automobili utilizzate per girare il film, opportunamente “truccate” da Formula! nella livrea) culminata alla metà degli anni Settanta e terminata con il declino e il ritiro di Hunt. A far da scenario al testa a testa una Formula 1 molto diversa da quella attuale, in cui il rischio era all’ordine del giorno: solo negli anni Settanta sono stati nove i piloti morti per incidente in pista, tre tra il 1987 e il 2015. Una sfida davanti alla quale però neanche le donne si sono tirate indietro: il Gp di Inghilterra del 1976 è stato l’unico nella storia con due donne a provare la qualificazione, una delle due era l’Italiana Lella Lombardi, l’unica mai andata a punti nella storia della Formula 1.
Niki Lauda, scomparso nel 2019, aveva ritenuto la ricostruzione del film Rush aderente ai fatti. Hunt, mancato nel 1993, non ha fatto in tempo a vederlo. La sostanza rispetta la storia anche se qualche licenza cinematografica è presente, per esempio nei tempi e nelle coincidenze in cui avvengono alcuni passaggi che riassumono eventi avvenuti ma in un arco di tempo più ampio o in momenti divesi da quelli rappresentati, ma è probabilmente il solo modo di ridurre a due ore la storia, senza perderne episodi ritenuti significativi.
C’è del vero sicuramente nei caratteri dei due personaggi. Calcolatore, precisissimo Lauda, eccellente collaudatore ancor prima che pilota e dunque abilissimo nel dare indicazioni ai meccanici per la messa a punto della vettura, tema sul quale si è sempre espresso con la massima franchezza. Tanto da dire a Enzo Ferrari in persona: questa macchina è una m. (testuale. La sfuriata nel film c’è, ma stranamente avviene davanti un interlocutore aziendale con un rango inferiore a quello del grande capo. Guascone, bon viveur, rischiatutto, Hunt, temerario in pista e avventuroso nella vita, anche se forse un po’ meno di quanto appare nel film dove l’amicizia tra i due, che esisteva da sempre tanto che da giovani piloti avevano a quanto pare condiviso pure un appartamento, nel film è almeno all’inizio trasfigurata con licenza poetica in una rivalità tout court che solo dopo matura in reciproca stima.
Anche se in pista di rivallità vera si è trattato tanto che, mentre Lauda era fermo in seguito al pauroso incidente in Germania da cui lo aveva salvato estraendolo svenuto dalla vettura in fiamme il collega Arturo Merzario che a quel che se ne sa non ebbe mai in grazie, Hunt gli aveva succhiato le ruote fino insidiare il suo primato in classifica mondiale piloti. Tanto che Lauda decise di correre a Monza appena 42 giorni dopo il botto che lo aveva lasciato con il volto, la testa e un orecchio gravemente ustionati e con i polmoni compromessi dai fumi respirati, quando le sue ferite non erano del tutto rimarginate proprio per non lasciare campo aperto all’avversario. Ed è documentato che scese dalla macchina con le bende insanguinate sotto il casco modificato per l’occasione.
Al periodo dell’incidente e al recupero si dà nel film molto spazio ricostruendo con grande veridicità sia la dinamica dell’incidente sia la difficile fase del recupero di Lauda, cui molto aggiunge il lavoro dei truccatori che ne rendono le ferite ma anche l’espressione del viso grazie a una protesi dentaria applicata all’attore Daniel Brühl che lo fa somigliare decisamente al vero Lauda, stranamente non è stata considerata nel film una scena che avrà avuto certo un che di cinematografico nella realtà: fu Lauda stesso a raccontare che la moglie svenne quando vide le sue ferite per la prima volta, ma nel film non si vede.
È invece controversa la vicenda che riguarda il ritiro di Lauda dopo pochi giri a Fuji, ultimo Gran Premio del Mondiale 1976, che lasciò a Hunt il titolo piloti e alla Ferrari il mondiale costruttori. Il film e la vulgata dicono che Lauda avrebbe preso individualmente la decisione di fermarsi perché la pioggia stava rendendo il circuito troppo pericoloso. Un fatto che il film rende spettacolare con un dialogo efficace tra i due rivali: Lauda che dice: «I rischi erano totalmente inaccettabili. Tu eri pronto a morire e questo non è vincere, ma perdere». Hunt replica: «Sì è vero, lo ammetto, ero pronto a morire pur di batterti. È questo l’effetto che hai su di me. Sei stato tu a spingermi fin lì ed è stato stupendo». Ma ci sono testimonianze che ricostruiscono la vicenda in modo diverso, sostenendo che ci fosse in realtà un accordo tra scuderie per iniziare la gara per qualche giro a favore delle Tv per poi far rientrare tutti ai box, compresi Hunt e Lauda. Così ricostruì la dinamica: Daniele Audetto direttore sportivo della Ferrari in quegli anni in un’intervista ad Autosprint del 2017: «La colpa fu mia perché quando (Lauda) si presentò al box avrei dovuto ordinargli di tornare in pista e fermarsi solo dopo che ai box sarebbe rientrato Hunt. Lui non avrebbe potuto dirmi di no davanti al mondo perché ero il suo superiore. Hunt invece era pressato dal suo sponsor Marlboro e soprattutto dal suo boss Teddy Mayer, che gli avrebbe spaccato la testa se avesse abbandonato prima di Lauda. Ma non ebbi cuore di infierire su Niki appena lo vidi fermo mi rivenne in mente il suo volto distrutto nell’infermeria del Nürburgring. Se lo avessi rispedito in pista, dopo cinque giri avrebbe trovato condizioni ideali perché stava smettendo di piovere. Ma ho fatto una scelta umana e non spietata. Non me ne sono mai pentito, ma a ripensarci adesso dico che è stata una grande lezione di vita: se al posto mio ci fosse stato un uomo più freddo e spietato, Lauda avrebbe vinto il suo secondo Mondiale consecutivo».
Ne avrebbe vinti dopo altri due, il primo nel 1977 il secondo nel 1982 il coronamento di una carriera leggendaria, cominciata davvero con uno scontro con la famiglia che non vedeva bene un rampollo dell’alta borghesia austriaca con la mente nelle corse, anche se più del padre, come nel film, a tenergli testa fu soprattutto il nonno che avrebbe voluto vederlo intraprendere una carriera nel mondo dell’impresa e ostacolò l’intento del nipote al punto che mise tutta la sua influenza per impedire che la banca austrica cui lo aveva chiesto gli concedesse un prestito per cominciare. La vicenda segnò una frattura definitiva tra il nonno e il giovane Lauda che comunque non si arrese. Chiese e ottenne il prestito da una banca estere e scelse la sua strada.
A fine carriera in realtà nell’impresa Niki Lauda si è poi buttato anche davvero buttato, fondando e dirigendo due compagnie aeree. Alla fine non è andato lontano dalle aspirazioni della famiglia anche se per una strada più tortuosa delle attese.