Al porto di Palermo i ragazzi del liceo intonano l’inno di Mameli. Quest’anno niente cortei, per via della pandemia, ma l’invito a partecipare alla cerimonia #PalermochiamaItalia esponendo lenzuola bianche. Ventinove anni dopo la strage di Capaci si ricordano le vite di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo, della sua scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, fatte saltare in aria sull’autostrada che dall’aeroporto arriva in città e quelle di Paolo Borsellino e della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, stroncate in via D’Amelio 57 giorni dopo.
Ventinove anni di processi, condanne e buchi neri. Soprattutto sui mandanti e su coloro che hanno “inquinato le indagini”, un «colossale depistaggio» certificato dalla sentenza di primo grado, quella del 20 aprile 2018, del processo Stato-mafia. In attesa dell’appello, che va in requisitoria, si indaga sugli scenari che quel dispositivo ha aperto. La sentenza, infatti, pur non arrivando ai nomi, stabilisce che la trattativa c’è stata e che pezzi di istituzioni, vertici di Cosa nostra e apparati dei servizi hanno negoziato mutue concessioni. «Credo che quella trattativa sia stata avviata dopo l’uccisione di Borsellino» dice oggi Giuseppe Ayala, allora giudice del pool antimafia, stretto amico e collaboratore dei magistrati uccisi.
E mentre si celebrano le vite di chi ha lottato contro la mafia si apre anche la polemica sui prossimi appalti e sulla richiesta, da parte della Lega, di snellire le procedure. Semplificazione che, è l’opinione degli esperti, potrebbe rendere un grosso favore alla criminalità.
«Oggi», ha spiegato il ministro della Giustizia Marta Cartabia, in una intervista con Maria Falcone, sorella del giudice ucciso, che andrà n onda questa sera su Rai storia, «c’è una preoccupazione grande in vista del prossimo arrivo di grandi quantità di denaro attraverso il Recovery Fund. I programmi di sostegno dell’Europa sono preziosi per tutta la nostra società, ma possono essere anche una ghiotta occasione per appetiti criminali. Non possiamo permetterci il rischio che mani sbagliate intercettino questo flusso di denaro». La Cartabia auspica anche un maggior coordinamento internazionale anche se, «grazie all’intuizione della necessità di un forte coordinamento investigativo, oggi abbiamo strumenti molto più adeguati. La cooperazione è andata così avanti rispetto al ’92, che da poco è nata una Procura europea (Eppo), emblema di come si possano superare anche a livello internazionale quelle resistenze che, fin dai tempi di suo fratello, rendevano più complesse le indagini».