Il tracciato della Barriera di Separazione nel primo progetto (bocciato dalla Corte Suprema) del ministero della Difesa di Israele.
Ad aprile no. Adesso sì. Con una decisione che ha sorpreso molti, la Corte Suprema di Israele ha autorizzato l'estensione della Barriera di separazione (o Muro) attraverso la valle di Cremisan, uno dei luoghi più suggestivi dell'area tra Gerusalemme e Betlemme e dell'intera Terra Santa. Ma è stato davvero un voltafaccia o non, piuttosto, uno dei prevedibili sviluppi della sentenza di aprile?
L'idea di proseguire con la costruzione della Barriera anche nella valle di Cremisan è perseguita da molti anni dal ministero della Difesa di Israele per "ragioni di sicurezza". E da altrettanti anni è contrastata a suon di cause legali dalla municipalità del villaggio palestinese (a maggioranza cristiana, vi ha sede anche il seminario) di Beit Jala e dalle famiglie palestinesi sui cui terreni il Muro andrà a passare. La sentenza della Corte Suprema (che pubblichiamo integralmente), datata 6 luglio, spiega bene perché non si possa parlare di voltafaccia.
Nel precedente pronunciamento del 2 aprile, infatti, la Corte aveva stabilito di non poter accettare un tracciato della Barriera che dividesse il convento salesiano femminile, e la relativa scuola, dal convento salesiano maschile o che dividesse i due conventi dal villaggio di Beit Jala e dalla comunità cristiana che vi risiede. Il primo progetto del ministero della Difesa prevedeva, invece, che il convento femminile restasse sul lato "palestinese" del Muro, cioè in Cisgiordania, mentre quello maschile si sarebbe trovato in territorio israeliano (si veda la foto qui pubblicata). Per ovviare a questo, la Corte imponeva la presentazione di un nuovo progetto che tenesse in considerazione tale condizione.
Il 29 aprile, l'ufficio legale del ministero della Difesa di Israele informava le parti di voler cominciare i lavori di estensione della Barriera per un tratto di 1,2 chilometri, lasciando aperto un varco di 225 metri. Il 10 giugno la municipalità di Beit Jala e le famiglie palestinesi protagoniste della causa presentavano un esposto alla Corte Suprema, chiedendo di bloccare la decisione del Ministero perché in contrasto con quanto stabilito, appunto il 2 aprile, dalla Corte stessa. Il 6 luglio (e con questo torniamo appunto alle polemiche presenti) la sentenza finale: la Corte stabilisce che i lavori possono cominciare perché il progetto che li riguarda rispetta le condizioni stabilite con la sentenza del 2 aprile: nessuna separazione tra i conventi salesiani e tra loro e la comunità cristiana di Beit Jala.
Nel dispositivo della sentenza è importante notare almeno due affermazioni che la Corte fa in riferimento ad altrettanti punti cruciali della questione. La prima (paragrafo 3) è relativa allo Stato di Israele che, riferiscono i giudici, costruirà in ogni caso il Muro che, a sua volta, "senza alcun dubbio scomparirà in futuro". La seconda (paragrafo 4) riguarda le famiglie palestinesi di Beit Jala interessate dal provvedimento (sono 58) e i loro terreni: "Lo Stato ribadisce, in risposta all'affermazione dei querelanti che il Muro ostacolerà il libero accesso dei contadini di Beit Jala alle terre da loro coltivate, che il loro accesso alle terre sarà garantito e rimarrà libero come lo è oggi".
La "questione Cremisan", quindi, ha implicazioni particolari e generali insieme. Quelle particolari sono piuttosto evidenti: come quasi ovunque lungo i suoi 703 chilometri di lunghezza, la Barriera di separazione andrà a incidere sulle terre dei palestinesi, di fatto erodendone la quantità e la qualità. Si noti bene la risposta, non casuale, dello Stato come riferita dalla Corte Suprema: i contadini di Beit Jala e "le terre da loro coltivate", non di loro proprietà. E infatti non si conoscono casi di terre sottratte ai palestinesi (per esproprio, insediamenti o in qualunque altro modo più o meno legittimo) che siano poi state restituite. Anche se avranno libero accesso alle loro terre, le 58 famiglie di Beit Jala subiscono comunque un grosso danno immediato, perché non potranno più edificare su terreni che verranno a trovarsi in Israele. E in ogni caso il famoso "libero accesso" ai campi sarà determinato dal volere e dalle esigenze dei reparti militari che controlleranno i varchi.
Il che rimanda alla condizione generale, cioè all'idea stessa del Muro. Anche accettando in toto le affermazioni di Israele (nata per bloccare le incursioni dei terroristi, ha pienamente assolto al suo scopo), resta il fatto che la Barriera è in costruzione dal 2002: se la valle di Cremisan era davvero un tale varco nella sicurezza, in questi 13 anni sarebbero potuti succedere disastri e massacri di ogni sorta.
Inoltre, sono chiari due altri fatti. Il primo è che la Barriera è di Separazione solo in un senso: cioè separa i palestinesi da altri palestinesi e i palestinesi dagli israeliani ma non il contrario. Infatti un sempre maggior numero di israeliani negli ultimi 13 anni è andato a vivere nella Palestina occupata, nei cui insediamenti abita oggi poco meno del 10% della popolazione dello Stato ebraico.
Il secondo è questo: nei suoi 703 chilometri, il Muro ingloba quasi tutti gli insediamenti israeliani, quasi tutti i pozzi d'acqua e insiste quasi ovunque su terreno palestinese, scostandosi in certi punti anche di 25 chilometri dalla Linea Verde, cioè dalla linea tracciata per l'armistizio del 1949 che non è un confine ma su cui è "tagliata" l'Autorità palestinese. La Barriera, quindi, se da un lato rafforza la sicurezza di Israele, dall'altro rende anche più massiccia e più difficilmente reversibile la sua occupazione dello spazio altrui.