Le parole di Paolo Borsellino, pubblicate dopo la sua morte nell'ottobre del 1992, parlano di ottimismo e di fiducia nei giovani: un ottimismo della volontà che veniva in un momento difficile per il Paese, con i Corleonesi ad alzare violentemente la posta nella sfida allo Stato, un ottimismo riposto nei giovani contrapposto al pessimismo rivolto dal magistrato, ucciso nella strage di Via D'Amelio il 19 luglio 1992, alla propria generazione e alle precedenti.
Ci sono spunti che si prestano al ragionamento, non ultimo il tema del consenso sociale che da sempre costituisce l'humus in cui la criminalità organizzata ripone la sua forza. La traccia, però, ha il difetto della decontestualizzazione: il non sapere a quale punto del percorso siano state dette queste parole non aiuta a collocarle, in un contesto, che per ragazzi che hanno oggi l'età dei figli di Borsellino allora, non può che essere storico: in quel momento Paolo Borsellino parlava alla generazione dei genitori dei maturandi di oggi, in loro riponeva la fiducia.
Aveva visto decine e decine di processi contro la mafia naufragare contro l'insufficienza di prove, aveva visto smantellare il cosiddetto Pool antimafia di Palermo voluto da Nino Caponnetto, non si dice ai ragazzi se queste parole siano venute prima o dopo la sentenza della Cassazione che rese definitive le condanne del Maxiprocesso, né a che punto esatto queste parole siano giunte nell'escalation (parola tanto di moda in queste ore) iniziata con l'omicidio di Salvo Lima e arrivata al massimo della propria violenza tra il 23 maggio 1992 e il 1993 con le bombe a colpire l'arte di Roma, Milano, Firenze.
Per studenti che hanno oggi 19 anni quel tempo è collocato in una finestra un po' cieca, quella che li precede di poco lungo la linea del tempo, non ancora storia e non più cronaca, la più difficile in cui anagraficamente orientarsi.
Certo aiuta il fatto che la generazione che è stata violentemente svegliata da quelle bombe sia ora in cattedra nelle scuole, se si è fatta carico del raccordo tra storia e cronaca, ha aiutato i maturandi di oggi per la vita non solo per la prova. La mafia uccide solo d'estate di Pif e lo spettacolo teatrale Autoritratto di Davide Enia raccontano benissimo lo scossone che la generazione di chi aveva vent'anni nel 1992 da quelle bombe ha ricevuto.
La possibilità che questo tema di maturità non riesca estraneo a chi è giovane oggi, la possibilità che chi oggi si cimenta con questa prova si senta ancora in causa nelle parole di Borsellino, dipende certo molto da quanto la generazione precedente ha fatto in concreto, dipende dal gesto di Pif, padre, con il figlio piccolo delle ultime scene del film: da quanto chi c'era s'è fatto carico di trasmettere non solo per commemorare (più passa il tempo, più le commemorazioni sono stanche e divise), ma per imparare, soprattutto a informarsi: la prima cosa. Conoscere è il primo passo per difendersi.
Dal 1992 a oggi molto si è appreso in fatto di mafie. La liberazione di Brusca ha riportato quel tempo d'attualità nei giorni scorsi, aver letto giornali, ascoltato podcast, potrebbe tornare utile nella traccia di oggi. Ma per arrivare bene allo svolgimento occorrerebbe aver fatto un passo oltre, non essersi fermati alla storia di allora, ma aver provato a capire come e perché oggi le mafie si comportano in altro modo, tornate a inabissarsi e ad agire silenti. Ci sono ma si vedono meno, scelgono strade meno eclatanti: fanno affari sporchi, si presentano con la faccia pulita. Non per caso nel dibattito pubblico se ne parla molto meno di allora.
Capita che anche questi siano argomenti della scuola, ogni volta che la scuola ha, in tanti insegnanti di buona volontà, la capacità di affacciarsi sul mondo di fuori. Forse questo tema, se non sarà solo una riflessione sul ruolo dei giovani disancorata e buona per tutte le stagioni, se non si tradurrà in retorica vuota di contenuto, sarà uno spunto per apprendere che cosa sia arrivato ai ragazzi di oggi da parte di chi li ha preceduti e che non ha alibi perché c'era; per capire se sia stato o meno insegnato ai maturandi di oggi, al di là delle commemorazioni che servono giusto a commuoversi, il senso critico necessario a riconoscere, a smascherare le contraddizioni, anche del potere: perché di lì passa il cambiamento in cui Paolo Borsellino diceva di voler credere. Sapeva che non sarebbe stato a breve. Oggi, oltre trent'anni dopo, un bilancio si può fare: Borsellino e Falcone insieme avevano avviato i passi avanti, si è continuato a camminare in questi trent'anni? La società civile e i suoi rappresentanti - oggi la generazione che non poteva non vedere è arrivata al potere - hanno fatto (concretamente) passi avanti o hanno ceduto al passo del gambero?
Provare a rispondere a questa domanda sarebbe una bella prova di maturità, avere gli argomenti per farlo significherebbe dimostrare di essere adulti critici, presenti, consapevoli.