I volti sono stremati. La tensione, a bordo, la respiri in ogni parola. Da tre mesi aspettano. Contano i minuti, perdendo un pezzo di speranza ogni giorno. Otto marinai, tutti dello Sri Lanka, l’equipaggio della nave C Star, abbandonato su un molo ancora in costruzione del porto di Barcellona. Verso terra si vedono i docks costruiti dai cinesi, con migliaia di container che sbarcano ogni giorno. Dietro il muraglione c’è quel pezzo di Mediterraneo che ha visto – tra luglio e agosto – la loro nave usata da Generazione identitaria, l’organizzazione di estrema destra europea, per pedinare le imbarcazioni delle Ong impegnate nei salvataggi dei profughi davanti alla Libia. Una guerra, quella degli identitari, fatta soprattutto di “azioni dirette”, un pressing continuo, comunicazioni via radio aggressive (usando i canali dell’emergenza), scansioni radar e post sui social. Il loro obiettivo, dicevano, era di divulgare le prove della collusione tra organizzazioni umanitarie e scafisti. Un nulla di fatto, a casa hanno portato solo la storiella dell’avventura in mare da raccontare in giro per l’Italia. E tanto merchandising da rivendere on line ai neofascisti di tutta Europa. Di “prove” neanche una.
Quel che rimane della C Star e della sua cupa storia è ben altro. Nessuno degli otto marinai dello Sri Lanka è stato mai pagato dall’armatore Tomas Egerstrom, imprenditore svedese specializzato nel fornire la logistica ai mercenari nel Golfo di Aden. Nulla, neanche un dollaro. Sulla plancia, dove gli identitari piazzavano le loro carte con il simbolo dello scudo spartano, c’è ora un foglio con cifre e nomi: dai 19 mila dollari che deve ricevere il capitano, fino ai 5 mila dovuti al “mess boy”, l’ultimo grado a bordo. Complessivamente più di 80 mila dollari, dovuti e mai pagati: «Nessuno ci ha dato nulla, nessuno ha dato nulla alle nostre famiglie. Hanno abbandonato la nave, non ci hanno dato denaro, non ci hanno dato cibo, non ci hanno dato acqua né carburante. Nulla», spiega K. (l’equipaggio preferisce non divulgare il nome o mostrare il volto), esperto ingegnere. Da quando il primo ottobre sono arrivati alla deriva a Barcellona sopravvivono solo grazie all’aiuto di Stella Maris, l’apostolato del mare che per missione aiuta i marinai in tutti i porti del mondo. Il gasolio per far funzionare il generatore e l’acqua potabile arriva dalle autorità portuali. L’armatore è semplicemente sparito: «Dice pago domani, pago la prossima settimana… Lo dice da mesi, ma finora sono state promesse vane». «Ha mandato delle e-mail», spiega il diacono Ricard Rodriguez-Martos Dauer, direttore di Stella Maris, «ma nulla di concreto, solo parole».
Le bugie, come si sa, hanno le gambe corte. Lo scorso 3 ottobre Generazione identitaria in un post su Facebook aveva assicurato: «Siamo in contatto costante con l’equipaggio supportando esso e le loro famiglie al meglio delle nostre possibilità». «Davvero hanno scritto questo?», chiede K. «È una menzogna, nessuno di loro ha aiutato né noi né le nostre famiglie», aggiunge scandendo bene le parole.
L’equipaggio era stato contrattato da un agente locale nello Sri Lanka all’inizio dell’anno: «Ci ha detto che era come andare in hotel, che avremmo avuto tanto cibo, che era una buona compagnia. Molte bugie». A marzo alcuni di loro erano già a Gibuti, a disposizione della nave. Sono partiti a giugno, con l’unica indicazione di arrivare in Tunisia e neanche una parola sulla reale missione della C Star. In pochi giorni quel viaggio diventa un incubo: «A Suez hanno bloccato la nave», raccontano. «Gli agenti della Guardia costiera sono entrati, hanno cercato ovunque ed erano armati, ci hanno messo circa nove ore, hanno aperto tutto, cercavano qualcosa». Poi la tappa a Cipro, nel porto di Famagusta. A bordo c’erano altri venti marinai dello Sri Lanka, ufficialmente degli stagisti. Le autorità cipriote, però, volevano capire meglio: «La polizia di Cipro ci ha detto che quei venti avevano pagato una grossa cifra per essere trasportati in Europa. Quello che capiamo è che c’è stato un accordo, forse tra l’armatore e l’agente locale in Sri Lanka».
Dopo la partenza da Famagusta, in acque internazionali, sale una decina di militanti di Generazione identitaria, tra questi il portavoce italiano Lorenzo Fiato. «Dicevano che dovevano difendere la loro “identità”, dovevano difendere l’Europa, le tradizioni: e allora perché nessun Paese europeo li voleva?», si chiede oggi l’equipaggio. «Io sono un migrante», conclude K. «Sono stato per lavoro 15 volte in Europa, sempre con un visto, e nel mio Paese ci sono tanti islamici. Non ho nulla a che vedere con questa gente». Vittima, anche lui, di un’operazione di propaganda finita male. Famiglia Cristiana ha contattato l’armatore, Generazione identitaria e anche il portavoce Lorenzo Fiato. Nessuno ha voluto rispondere.