Il 28 febbraio 2024 il Senato francese ha concluso il controverso iter legislativo che porta ad inserire l’interruzione volontaria di gravidanza all’interno della Carta costituzionale, l’atto fondativo che definisce il sistema dei diritti e dei doveri di cittadinanza di una nazione. Inevitabilmente i titoli dei giornali sono stati tranchant. Francia, la svolta di Macron: “Sì al diritto d’aborto nella Costituzione” (Repubblica on line), Francia, via libera in Senato all’aborto in Costituzione (Corriere della sera on line).
A dire il vero il testo in questione è un po’ più raffinato: “La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza”, una formula che non usa la parola “aborto”, e che non parla di un “diritto” vero e proprio, ma di “libertà garantita”. La sostanza rimane fondamentalmente la stessa: la libertà di autodeterminazione della donna viene riaffermata in modo assoluto, senza interrogarsi sui diritti residuali - o potenziali – del nascituro.
Pochi mesi prima, sempre in Francia, erano stati allungati (nuovamente) i tempi di gravidanza in cui l’aborto è consentito (da 12 a 14 settimane), e nello stesso provvedimento l’aborto chirurgico veniva consentito anche alle professioni ostetriche, e non più riservato ai soli medici (ginecologi). Un processo quindi di lungo periodo, che trova nell’approvazione del Senato francese un esito radicale. Del resto non si sono ancora placate le polemiche seguite al pronunciamento della Corte Suprema USA, poco più di un anno fa, che aveva invece interrotto un automatico “diritto” assoluto a livello federale, demandando all’autonomia degli Stati la regolazione (con numerosi Stati che hanno subito adottato misure restrittive).
Il nodo insomma rimane controverso, al di là delle semplificazioni “senza se e senza ma”, ed è anche complesso intervenire su questo nodo in quanto uomo e maschio: ma proprio perché sono convinto che non ci sia in gioco la sola “autodeterminazione”, mi sento chiamato a prendere umilmente parola, pur nella piena consapevolezza che c’è una bella differenza di condizione e di legittimazione, se quello di cui sta parlando è una presenza dentro il tuo corpo, o se parli delle scelte di altri – di altre, soprattutto. Ma forse è proprio questo il punto: la scelta francese si ispira ed è figlia di un modello antropologico individualistico, dove la libertà e la felicità di una persona sta nell’assenza di vincoli, di legami, e non in modello personalistico – relazionale, che vede l’identità della persona – e la sua felicità – proprio nel suo essere in-relazione. Ma proprio il legame madre-figlio, fin dall’inizio della gravidanza, è la conferma più chiara che la vita non può che essere relazione.
Inoltre la scelta del Senato francese non riguarda solo un’idea di libertà individuale della persona, ma è soprattutto la scelta di ignorare la titolarità, il diritto, l’esistenza stessa di una seconda persona: il figlio che deve nascere. Fissare questa scelta antropologica per legge – addirittura nella Costituzione – non risolve il problema: rimane sempre il dilemma etico ed esistenziale di una scelta su di sé che coinvolge anche un altro essere umano, il figlio nel proprio grembo.
Rimane un diritto “strabico”, che sceglie solo una parte, cancellando l’altra in modo unilaterale, per via giuridica, senza accettare la complessità della realtà – vale a dire almeno l’ipotesi - se non la piena certezza – che ci sia in gioco una seconda vita. Anche questo è un tema estremamente controverso, e le posizioni sono spesso su base scientifica ma anche ideologiche, sulla piena titolarità dell’embrione, sul momento in cui le cellule fecondate diventano una vita autonoma, sull’idea (ingannevole e maliziosa) che, in fondo, si tratta “solo di un grumo di cellule”.
Per questo rimane molto triste, questa nuova libertà di abortire fissata nelle tavole giuridiche fondamentali di un Paese: perché si afferma come diritto dell’individuo quella che è una scelta drammatica, un dilemma sostanziale, una decisione che non rimane priva di conseguenze: così la legge vuole plasmare la realtà, a servizio di una ideologia. Invece una società civile e progredita attorno ad una donna in gravidanza dovrebbe tessere una vera e propria rete di protezione, di accompagnamento, di supporto, senza abbandonarla ad una decisione che anziché promuovere e scommettere sul miracolo e sulla speranza di una vita che nasce, rinuncia invece ad una promessa di futuro già presente – ancora in pancia, ancora fragile, totalmente dipendente ed indifesa, ma già vita.