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Liberi di scegliere, ecco qual è la vera storia

21/01/2019  La figura del personaggio interpretato da Alessandro Preziosi è ispirata al lavoro di un magistrato reale: Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per minorenni di Reggio Calabria.

Dietro il film per la Tv Liberi di scegliere, regia di Giacomo Campiotti, in onda su Raiuno il 22 gennaio, e dietro il protagonista Marco Lo Bianco, interpretato da Alessandro Preziosi, c’è una storia vera: quella del magistrato Roberto Di Bella, messinese d’origine,  un’intera carriera dedicata alla giustizia dei minori, in prevalenza a Reggio Calabria con una parentesi a Messina, dal 2011 presidente del Tribunale per minorenni di Reggio Calabria. In magistratura dal 1991, 55 anni, ha ripetutamente spiegato in occasioni pubbliche che: «la 'ndragheta si eredita, esiste il rischio non virtuale, che in particolari contesti e in particolari famiglie, l’educazione si traduca in educazione criminale». Un fatto di cui ha preso atto, in modo diretto, quando, nella sua lunga esperienza sul territorio, si è trovato in condizioni di giudicare i figli di minorenni che aveva giudicato vent’anni prima, cosa che si spiega anche con il fatto notorio che la ‘ndrangheta si fonda sul legame di sangue, familiare, a differenza di cosa nostra dove prevale il vincolo del mandamento.

Quel passaggio di fascicoli, e di processi, di padre in figlio sulla sua scrivania, ha portato Di Bella a interrogarsi su come prevenire il fenomeno dell’ereditarietà criminale, a domandarsi come agire per tempo per evitare che ai figli seguano i nipoti. La riflessione ha portato, da qualche anno, a una valutazione: quanto e fino a quando il rischio di un destino criminale ineluttabile, che troppe volte si conclude con il carcere o con la morte, può comprimere la libertà di un bambino fino a comprometterne la crescita psico-fisica? Quanto, in determinate circostanze, un’educazione siffatta può andare contro il migliore interesse del minore fino a giustificare un intervento legale di temporaneo allontanamento dalla famiglia, come avviene nei maltrattamenti, dovendo bilanciare il diritto di crescere ed essere educati nella famiglia d’origine con il diritto a preservare l’integrità psicofisica del ragazzo?

La risposta che si sono dati al Tribunale per Minorenni di Reggio Calabria, è che, in qualche ben determinata situazione, da valutare caso per caso, questa condizione si possa verificare. Il risultato è un orientamento giurisprudenziale che si va consolidando, tradotto, negli ultimi sette-otto anni, in una cinquantina di provvedimenti di allontanamento temporaneo di ragazzi in prevalenza tra i 15 e il 17 anni, o poco più giovani.

Il dottor Di Bella lo ha più volte spiegato così relazionando della questione in pubblico: «Non accade mai di allontanare un minore soltanto perché nato nel contesto di una famiglia mafiosa», ma, caso per caso, «viene valutato il caso concreto, intervenendo laddove il metodo educativo mafioso determini un concreto pregiudizio per il concreto sviluppo psicofisico dei minori. Casi di questo genere sono avvenuti quando da intercettazioni o testimonianze è emerso un coinvolgimento dei minori nell’uso di armi o nei traffici di droga, o quando si è verificata la commissione da parte di ragazzi di una serie di reati sintomatici di una escalation della carriera criminosa e il genitore non è intervenuto in nessun modo per contenerli. Oppure si interviene «quando vi sia la necessità di tutelare l’integrità fisica dei ragazzi nelle situazioni di faida» o ancora quando «c’è il rischio che i figli di un collaboratori e soprattutto collaboratrici di giustizia vengano usati come merce di ricatto nei confronti di chi in famiglia abbia collaborato con lo stato».

La base su cui si agisce ovviamente è normativa: gli articoli 2, 30 e 31 della Costituzione, l’art. 330 del codice civile. («Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti (educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni ndr) o abusa dei relativi poteri) con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare» e, sul piano del diritto internazionale, la Convenzione sui diritti del fanciullo siglata a New York nel 1989 .

Facile prevedere che  l’intervenire in questo modo, per provare a dare a dei ragazzi, prima che sia troppo tardi, l’occasione di sperimentare o modello educativo e di vita diversa, cosa che spiega il nome dato al progetto “liberi di scegliere” che coinvolge per l’’80 per cento ragazzi che hanno già commesso reati e che si avvale della collaborazione di psicologi e di associazioni come Libera, non sia un modo di farsi degli amici. E infatti non mancano le minacce e il presidente Di Bella vive da anni sotto protezione, ma è anche vero, che per sua stessa ammissione, non sono mancati episodi di ringraziamento da parte di madri e, persino, di padri in carcere.

«Si cerca di far passare l’idea che la violenza genera sofferenza un messaggio che stanno recependo soprattutto le madri. E’ vero che ci sono madri irriducibili, ma ce ne sono altre desiderano un riscatto dal contesto criminale di cui sono prigioniere per salvare i figli e per sé stesse. Spesso sono “vedove bianche”, hanno il marito in carcere e temono che il figlio finisca allo stesso modo. Capita che vengano a chiederci di nascosto dalla famiglia di allontanare i ragazzi».

Reggio Calabria è, al momento, l’unica sede di Tribunale per minorenni, che pur senza alcun automatismo, ha messo a sistema questo percorso, comunque delicato e complesso, che ha genera un dibattito costruttivo tra gli addetti ai lavori per l’invasività e che pone problemi complessi anche in relazione al compimento della maggiore età, quando i ragazzi escono dalla competenza del Tribunale per minorenni.

 
 
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