Maria Teresa Tramontin. In alto: il Coro di voci bianche de la Verdi.
L’Orchestra Verdi di Milano è la realtà più giovane della Città: non solo perché formata da orchestrali dell’ultima generazione, ma per la varietà delle proposte, per l’apprezzamento che il pubblico le dimostra (in una statistica recente è risultata l’Orchestra più amata d’Europa), per l’entusiasmo di chi la governa, ad onta del disinteresse pubblico che solo poche settimane fa è stato in parte emendato dalla decisione del ministro Franceschini di assegnarle finanziamenti statali fissi e la qualifica di Ico (Istituzione Concertistica Orchestrale a carattere stabile).
Sfogliando il cartellone della Verdi ci si trova di fronte ad una raffica di proposte da far girar la testa. Da qualche giorno è cominciato il ciclo Mahler che vede sul podio direttori come Jader Bignamini, che dalla Verdi ha spiccato il volo verso una carriera che si annuncia strepitosa, o John Axelroad. Nella Terza Sinfonia (17 e 19 aprile), diretta da Claus Peter Flor (Erina Gambarini direttrice del Coro, Maria José Montiel, mezzosoprano), la Verdi si avvale del Coro di Voci bianche, un’altra sua emanazione. Maria Teresa Tramontin ne è la direttrice:
“Lo dirigo da 7 anni: fu il maestro Romano Gandolfi a volere la creazione di un Coro di voci bianche. Ora gli elementi sono 87, dagli 8 ai 18 anni. I nostri ragazzi hanno un’impostazione musicale: non facciamo o parliamo mai di canzoni, ma di repertorio e di musica classica”.
Sono tutti musicisti in erba quelli che si presentano alle selezioni? “Quasi tutti i nostri ragazzi studiano anche uno strumento, ma alle selezioni la formazione musicale non è un elemento discriminante, anche perché arrivano da noi piccoli. Contano naturalmente l’intonazione ed il sapere riconoscere e riprodurre una nota con la voce. Alcuni dei ragazzi più grandi studiano anche in conservatorio”. E chi o cosa li spinge ad entrare nel Coro? “Spesso sono le famiglie a spingerli a partecipare alle selezioni, perché vogliono magari colmare quella che era stata una loro lacuna, o realizzare un loro desiderio. Infatti io preferisco sempre fare le selezioni a porte chiuse, e sapere la verità dai bambini. La scelta insomma deve essere autonoma, non imposta. In questo modo l’esperienza diventa bellissima. Il Coro è una società ed un grande canale relazionale. Fa bene a loro, perfino dal punto di vista fisico, del respiro. Quest’anno se ne sono presentati 40”.
Ma lei in un altro caso richiede ai candidati di essere stonati, è vero? “Sì, perché Luigi Corbani, il nostro direttore generale, ha voluto anche creare il Coro degli stonati! Ed allora lì i criteri sono opposti. Certo, se mi capita qualche intonato anche lì dentro….mi fa piacere. Comunque anche quel coro ha raggiunto livelli molto buoni. In realtà solo il 5% degli esseri umani è davvero stonato. Per gli altri si tratta di blocchi psicologici o di problemi di ascolto, di fiducia e di convinzione”.
Torniamo ai bambini, cosa hanno cantato finora? “Programmi impegnativi: penso all’Ottava di Mahler diretta da Riccardo Chailly, o a Ivan il terribile di Prokofiev, o il War Requeim di Britten. Ma hanno anche partecipato alla Carmen di Bizet che è stata portata in Oman. E poi naturalmente ai Carmina burana di Orff ed alle Passioni di Bach sotto la direzione di Ruberns Jais”. C’è di che essere orgogliosi. E la Terza di Mahler che si accingono ad eseguire? “L’abbiamo già fatta altre volte, ma ad ogni concerto va ristudiata, anche perché i bambini cambiano. I ragazzi nella Terza, ed in particolare nel quinto movimento, rappresentano gli Angeli, che si contrappongono alla vita terrena, al dolore del quotidiano. E’ un testo meraviglioso, che descrive il pianto di Pietro davanti a Gesù. I bambini cantano la Gioia divina e lo esortano a non piangere più”.