Papa Francesco nel Santuario della Vergine della Carità, a El Cobre, centro minerario dell'isola (cobre significa rame). In alto: l'arrivo del Santo Padre a Washington. Le foto di questo servizio sono dell'agenzia Reuters.
Ai piedi della Madonna della Carità anche Ernest Hemingway lasciò la sua medaglia, ricevuta per il Nobel per la letteratura nel 1954, per ringraziare la Vergine per il riconoscimento al suo romanzo Il vecchio e il mare, che il popolo cubano gli aveva ispirato. Ma nella sacrestia del Santuario di Santiago, nel quale è custodita la statuetta, c'è anche una foto dei fratelli Castro, Fidel e Raul, che la madre portò in segno votivo alla Madonna della carità perché proteggesse i suoi figli.
Il Papa, che ha posato al lato della statuetta un portafiori d'argento con i fiori gialli e bianchi del Vaticano, ricorda che Maria è venerata come "Madre della carità e che custodisce la nostra radice e la nostra identità".
Anche negli anni dell'ateismo di Stato, il popolo cubano non ha smesso di rivolgersi alla sua Madonna, alla sua Madre che con "
tenerezza ha visitato il suo popolo", la Madonna, "alla quale chiediamo la rivoluzione della tenerezza e della misericordia. Siamo invitati a uscire da casa, a tenere il cuore aperto ai fratelli. La rivoluzione passa per la tenerezza", spiega il Papa durante la messa celebrata a Santiago.
«
Qui vediamo Maria», dice papa Francesco, «
la prima discepola. Una giovane forse tra i 15 e i 17 anni, che in un villaggio
della Palestina è stata visitata dal Signore che le annunciava che sarebbe
diventata la madre del Salvatore. Lungi dal credersi chissà chi e dal pensare
che tutti sarebbero venuti ad assisterla o servirla,
lei esce di casa e va a
servire. Va ad aiutare sua cugina Elisabetta. La gioia che scaturisce dal sapere
che Dio è con noi, con la nostra gente, risveglia il cuore, mette in movimento
le nostre gambe, “ci tira fuori”, ci porta a condividere la gioia ricevuta come
un servizio, come dedizione in tutte quelle situazioni “imbarazzanti” che i
nostri vicini o parenti stanno vivendo.
Il Vangelo ci dice che Maria uscì in
fretta, passo lento ma costante, passi che sanno dove andare; passi che non
corrono per “arrivare” troppo rapidamente o vanno troppo lenti come per non
“arrivare” mai. Né agitata né addormentata, Maria va di fretta, per accompagnare
sua cugina incinta in età avanzata. Maria, la prima discepola, visitata è uscita
a visitare. E da quel primo giorno è sempre stata la sua caratteristica
particolare. E’ stata la donna che ha visitato tanti uomini e donne, bambini e
anziani, giovani. Ha saputo visitare e accompagnare nelle drammatiche gestazioni
di molti dei nostri popoli;
ha protetto la lotta di tutti coloro che hanno
sofferto per difendere i diritti dei loro figli».
«In questo Santuario, che conserva la memoria del santo Popolo fedele di
Dio che cammina a Cuba, Maria è venerata come Madre della Carità», ha ancora aggiunto il Santo Padre. «Da qui
Lei custodisce le nostre radici, la nostra identità, perché non ci
perdiamo su vie di disperazione.
L’anima del popolo cubano, come abbiamo
appena sentito, è stata forgiata tra dolori, privazioni che non sono
riusciti a spegnere la fede; quella fede che si è mantenuta viva grazie a
tante nonne che hanno continuato a render possibile, nella quotidianità
domestica, la presenza viva di Dio; la presenza del Padre che libera,
fortifica, risana, dà coraggio ed è rifugio sicuro e segno di nuova
risurrezione. Nonne, madri, e tanti altri che con tenerezza e affetto
sono stati segni di visitazione - come Maria - di coraggio, di fede per i
loro nipoti, nelle loro famiglie. Hanno tenuto aperta una fessura,
piccola come un granello di senape, attraverso la quale lo Spirito Santo
ha continuato ad accompagnare il palpitare di questo popolo.
La statuetta,
ritrovata in mare nel 1606 da Juan Moreno, schiavo nero, lungo le coste dell'attuale diocesi di Holguin, al Nipe, è alta 60 centimetri. Juan Moreno, raccontò che «Una mattina,
essendoci il mare calmo, uscirono da un isolotto francese in cerca di una
salina, prima che sorgesse il sole, i suddetti Juan e Rodrigo de Hoyos e questo
dichiarante. Imbarcati in una canoa e allontanatisi dall’isolotto francese,
avvistarono una cosa bianca sulla spuma dell’acqua e non distinguevano cosa
potesse essere, avvicinandosi di più sembrò loro che fossero un uccello e dei
rami secchi. Dissero gli Indios “sembra una bambina” e, una volta arrivati,
riconobbero l’
immagine di Nostra Signora Santissima Vergine con il bambino Gesù
tra le braccia su una piccola tavoletta, e su questa tavoletta alcune lettere
grandi che Rodrigo de Hoyos lesse dicevano: “Io sono la Vergine della Carità”,
ed essendo i suoi vestiti di stoffa si stupirono che non fossero bagnati, e
pieni di piacere ed allegria, tornarono indietro prendendo solo 3 terzi di
sale». La statua fu trasferita al paese de
El Cobre, cioè dove erano le miniere di rame (in spagnolo cobre) da cui prende il nome.
Il suo culto si estese subito per tutta l'isola. Durante la guerra per
l’Indipendenza, le truppe si affidarono alla Vergine della Carità.
Nel 1915,
dopo la guerra di indipendenza, i veterani chiesero al Papa che dichiarasse la
Vergine della Carità del Cobre patrona di Cuba. In un documento del 10 maggio
1916 il Cardinale vescovo di Ostia comunicò che Benedetto XV acconsentiva alla
richiesta. La Vergine della Carità del Cobre fu dichiarata Patrona della Repubblica di Cuba e fu fissata la sua festività l’8 settembre. Sotto
l'altare della Madonna c'è la Cappella dei Miracoli dove si conservano doni
offerti alla "Cachita", come affettusamente la chiamano i cubani: tra gli ex voto la medaglia di Ernest Hemingway.
I cubani ricordano anche che Carlos Manuel de Céspedes e il generale Calixto García, furono
molto devoti alla Madonna della Caridad. Il primo dopo l'occupazione di Bayamo
si recò in pellegrinaggio al Santuario e rimase in preghiera molto tempo per
ringraziare "la grazia della libertà di Cuba". Alla fine del 1895, Calixto
García spedì il generale Agustín Cebreco e al suo stato maggiore per celebrare,
per la prima volta, la Festa de la "
Virgen de Caridad en Cuba Libre". Questo
evento è considerato il primo atto ufficiale della nazione cubana
indipendente.
Papa Francesco nel Santuario della Vergine della Carità, a El Cobre, centro minerario dell'isola (cobre significa rame).
E poi, ultimissima tappa prima del viaggio verso gli
Stati Uniti l'incontro con le famiglie "ciliegina sulla torta". Ecco, qui di seguito, il
discorso integrale che il Papa ha rivolto loro nella cattedrale di Santiago.
Siamo in famiglia. E quando uno
sta in famiglia si sente a casa. Grazie famiglie cubane, grazie cubani per
avermi fatto sentire in tutti questi giorni in famiglia, per avermi fatto
sentire a casa. Questo incontro con voi è come “la ciliegina sulla torta”.
Concludere la mia visita vivendo questo incontro in famiglia è un motivo per
rendere grazie a Dio per il “calore” che promana da gente che sa ricevere, che
sa accogliere, che sa far sentire a casa. Grazie.
Ringrazio Mons. Dionisio
García, Arcivescovo di Santiago, per il saluto che mi ha rivolto a nome di
tutti, e la coppia che ha avuto il coraggio di condividere con tutti noi i
propri aneliti e sforzi per vivere la famiglia come una “chiesa domestica”.
Il Vangelo di Giovanni ci
presenta come primo avvenimento pubblico di Gesù le Nozze di Cana, nella festa
di una famiglia. Lì è con Maria sua madre e alcuni dei suoi discepoli, a
condividere la festa familiare.
Le nozze sono momenti speciali
nella vita di molti. Per i “più veterani”, genitori, nonni, è un’occasione per
raccogliere il frutto della semina. Dà gioia all’anima vedere i figli crescere
e poter formare la propria famiglia. È l’opportunità di vedere, per un istante,
che tutto ciò per cui si è lottato ne valeva la pena. Accompagnare i figli,
sostenerli, stimolarli perché possano decidersi a costruire la loro vita, a
formare la loro famiglia, è un grande compito per tutti i genitori. A loro
volta, i giovani sposi sono nella gioia. Tutto un futuro che comincia, tutto ha
“sapore” di cosa nuova, di speranza. Nelle nozze sempre si incontrano il
passato che ereditiamo e il futuro che ci attende. Sempre si apre l’opportunità
di ringraziare per tutto ciò che ci ha permesso di giungere fino ad oggi con lo
stesso amore che abbiamo ricevuto.
E Gesù comincia la sua vita
pubblica in un matrimonio. Si inserisce in questa storia di semina e raccolto,
di sogni e ricerche, di sforzi e impegno, di lavori faticosi che hanno arato la
terra perché dia il suo frutto. Gesù comincia la sua vita pubblica all’interno
di una famiglia, in seno ad una comunità domestica. Ed è in seno alle nostre
famiglie che Egli continua ad inserirsi, continua ad esser parte.
È interessante osservare come
Gesù si manifesta anche nei pranzi, nelle cene. Mangiare con diverse persone,
visitare diverse case è stato per Gesù un luogo privilegiato per far conoscere
il progetto di Dio. Egli va a casa degli amici – Marta e Maria –, ma non è
selettivo, non gli importa se sono pubblicani o peccatori, come Zaccheo. Non
solo Egli agiva così, ma quando inviò i suoi discepoli ad annunciare la buona
novella del Regno di Dio, disse loro: «Restate in quella casa, mangiando e
bevendo di quello che hanno» (Lc 10,7). Matrimoni, visita alle famiglie,
cene, qualcosa di speciale avranno questi momenti nella vita delle persone
perché Gesù preferisca manifestarsi lì.
Ricordo nella mia diocesi
precedente che molte famiglie mi spiegavano che l’unico momento che avevano per
stare insieme era normalmente la cena, di sera, quando si tornava dal lavoro, e
i più piccoli finivano i compiti di scuola. Era un momento speciale di vita
familiare. Si commentava il giorno, ciò che ognuno aveva fatto, si metteva in
ordine la casa, si sistemavano i vestiti, si organizzavano gli impegni
principali per i giorni seguenti, i bambini discutevano, quello era il momento. Sono momenti in cui uno arriva anche stanco,
e può capitare di assistere a qualche discussione, a qualche litigata tra il marito e la moglie. Questo succede, ma non bisogna avere paura. Io ho più paura di quei matrimoni in cui mi dicono che mai hanno avuto una discussione, è strano. Gesù
sceglie questi momenti per mostrarci l’amore di Dio, Gesù sceglie questi spazi
per entrare nelle nostre case e aiutarci a scoprire lo Spirito vivo e operante
nelle nostre cose quotidiane. È in casa che impariamo la fraternità, la
solidarietà, il non essere prepotenti. È in casa che impariamo ad accogliere e
apprezzare la vita come una benedizione e che ciascuno ha bisogno degli altri
per andare avanti. È in casa che sperimentiamo il perdono, e siamo
continuamente invitati a perdonare, a lasciarci trasformare. E' curioso, in casa non c’è
posto per le “maschere”, siamo quello che siamo e, in un modo o nell’altro,
siamo invitati a cercare il meglio per gli altri.
Per questo la comunità
cristiana chiama le famiglie con il nome di chiese domestiche, perché è nel
calore della casa che la fede permea ogni angolo, illumina ogni spazio,
costruisce la comunità. Perché è in momenti come questi che le persone hanno
cominciato a scoprire l’amore concreto e operante di Dio.
In molte culture al giorno d’oggi
vanno sparendo questi spazi, vanno scomparendo questi momenti familiari, pian
piano tutto tende a separarsi, isolarsi; scarseggiano i momenti in comune, per
essere uniti, per stare in famiglia. Allora non si sa aspettare, non si sa
chiedere permesso né scusa, né dire grazie, perché la casa viene lasciata
vuota. Vuota di relazioni, vuota di contatti, vuota di incontri. Poco tempo fa
una persona che lavora con me mi raccontava che sua moglie e i figli erano
andati in vacanza e lui era rimasto solo. Il primo giorno la casa stava tutta
in silenzio, “in pace”, niente in disordine. Il terzo giorno, quando gli ho
chiesto come stava, mi ha detto: “Voglio già che ritornino tutti”. Sentiva che
non poteva vivere senza sua moglie e i suoi figli.
Senza famiglia, senza il calore
di casa, la vita diventa vuota, cominciano a mancare le reti che ci sostengono
nelle difficoltà, che ci alimentano nella vita quotidiana e motivano la lotta
per la prosperità. La famiglia ci salva da due fenomeni attuali: la
frammentazione (la divisione) e la massificazione. In entrambi i casi, le
persone si trasformano in individui isolati, facili da manipolare e governare.
Società divise, rotte, separate o altamente massificate sono conseguenza della
rottura dei legami familiari; quando si perdono le relazioni che ci
costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone.
La famiglia è scuola di
umanità, che insegna a mettere il cuore nelle necessità degli altri, ad essere
attenti alla vita degli altri. Nonostante le molte difficoltà che affliggono
oggi le nostre famiglie, non dimentichiamoci, per favore, di questo: le
famiglie non sono un problema, sono prima di tutto un’opportunità.
Se vivi la famiglia come problema ti stanchi.. Un’opportunità che dobbiamo curare, proteggere, accompagnare.
Si discute molto sul futuro, su
quale mondo vogliamo lascare ai nostri figli, quale società vogliamo per loro.
Credo che una delle possibili risposte si trova guardando voi: vogliamo
lasciare un mondo con le famiglie. Certamente non esiste la famiglia perfetta,
non esistono sposi perfetti, genitori perfetti né figli perfetti, ma questo non
impedisce che siano la risposta per il domani. Dio ci stimola all’amore e
l’amore sempre si impegna con le persone che ama. Per questo, abbiamo cura
delle nostre famiglie, vere scuole del domani. Abbiamo cura delle nostre
famiglie, veri spazi di libertà. Abbiamo cura delle nostre famiglie, veri
centri di umanità.
Non voglio concludere senza
fare riferimento all’Eucaristia. Avrete notato che Gesù vuole utilizzare come
spazio del suo memoriale una cena. Sceglie come spazio della sua presenza tra
noi un momento concreto della vita familiare. Un momento vissuto e
comprensibile per tutti, la cena.
L’Eucaristia è la cena della
famiglia di Gesù, che da un confine all’altro della terra si riunisce per
ascoltare la sua Parola e nutrirsi con il suo Corpo. Gesù è il Pane di Vita
delle nostre famiglie, vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo
amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua
speranza, perché in tutte le circostanze possiamo sperimentare che Egli è il
vero Pane del cielo.
Tra pochi
giorni parteciperò insieme alle famiglie del mondo intero all’Incontro Mondiale
delle Famiglie, e tra meno di un mese al Sinodo dei Vescovi che ha per tema la
Famiglia. Vi invito a pregare in modo particolare per queste due intenzioni,
perché sappiamo tutti insieme aiutarci a prenderci cura della famiglia, perché
sempre più sappiamo scoprire l’Emmanuele, il Dio che vive in mezzo al suo
popolo facendo delle famiglie la sua dimora.