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venerdì 09 giugno 2023
 
 

La verità su Montecassino

29/09/2010  Eraldo Affinati legge "Le Rondini di Montecassino" di Helena Janeczek: la battaglia della Seconda guerra mondiale viene rivissuta attraverso una serie di personaggi.

Per Helena Janeczek, nata a Monaco di Baviera da genitori ebrei polacchi, scrittrice italiana da quando, diciannovenne, si trasferì a Milano, la letteratura è uno scavo lacerante nelle radici divelte. Finora ha pubblicato tre libri in cui questo tema alimenta la sua spinta espressiva: Lezioni di tenebra (1997) partiva dall’esperienza della madre, sopravvissuta ad Auschwitz; il secondo, Cibo (2002), sembrava l’illustrazione biologica del primo, come se tutto quello che mangiamo fosse il disegno nascosto della nostra identità. Con Le rondini di Montecassino (Guanda) si compone un trittico originale e suggestivo.

La grande battaglia della Seconda guerra mondiale che, lo sappiamo, venne combattuta e vinta dall’esercito multinazionale antinazista, nelle cui file si distinsero i polacchi, rivive attraverso le vicende di numerosi personaggi: il sergente John Wilkins, texano, morto subito dopo il passaggio del fiume Rapido; il soldato Charles Maui Hira, del battaglione maori, neozelandese, sulle cui tracce si mette il nipote Rapata Sullivan; Edoardo Bielinski, cittadino italiano di padre polacco, insieme all’amico Anand Gupta; Irka, zia dell’autrice, corteggiata da Zygmunt Szer nell’inferno del gulag sovietico; Dolek, medico nell’armata del generale Anders; il caporale Samuel Steinwurzel, sepolto a Milano nel cimitero di Musocco: suo figlio, Gianni, abita ancora nella casa di via Bramante, in mezzo ai cinesi, che rappresentano un futuro imperscrutabile.

Helena Janeczek, intrecciando cronaca e invenzione, non esita a entrare in scena anche personalmente, specie quando riferisce del padre, «mio soldato immaginario », che in realtà non partecipò mai alla battaglia di Montecassino, ma fu costretto a cambiare nome per poter sopravvivere e mettere al mondo lei, futura scrittrice, aggiungo io, di questo implacabile referto. Ecco perché, nelle pagine finali, di rara intensità, leggiamo che «ai nostri padri non possiamo più domandare niente. Possiamo solo ricordare le loro vite e le loro verità, anche quando assumono la forma della diceria inverificabile, o si ricoprono della pietà mai abbastanza grande, mai abbastanza impermeabile, della menzogna».

 
 
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