La vicenda di Seveso portò a una grande
mobilitazione della Chiesa locale e dei
cattolici. La ricostruisce con completezza
e minuzia di particolari un giovane
cronista, Federico Robbe, in un libro-inchiesta
edito da Itaca (Seveso 1976,Oltre la diossina). Una Chiesa che «si
rimbocca le maniche», come scrive
nella prefazione Andrea Tornielli: parroci,
gruppi, fedeli, associazioni ecclesiali,
a cominciare dai giovani di Comunione
e liberazione (siamo nella terra del
fondatore don Giussani) si attivano per
dare assistenza alle popolazioni colpite
dalla “peste chimica” provocata dalla
fuoriuscita di diossina e per cercare
di dare una corretta informazione,
contro l’allarmismo sanitario di quei
giorni inquieti. Allarmismo che portò
a pressioni sull’aborto e sulla futura
legge. Punto di riferimento e stella polare
di questo autentico “movimento
di popolo” (da Milano fece sentire
la sua voce anche Madre Teresa)
fu l’Ufficio decanale di assistenza e
coordinamento della diocesi di Milano,
cui collaborarono figure di spicco
come don Dionigi Tettamanzi, futuro
arcivescovo di Milano, don Giovanni
Battista Guzzetti e don Gervasio Gestori,
oggi vescovo emerito di San Benedetto
del Tronto, allora direttore di un giornale,
Solidarietà, nato per controbattere
all’informazione diffusa che parlava di
Vietnam e probabilità di malformazioni
al 50 per cento (contro il 3 per cento
della letteratura scientica). Poche
le eccezioni, come i giovani giornalisti
Fiorenzo Tagliabue e Luigi Losa.
Lo slogan della comunità, lodata
anche da Paolo VI e appoggiata
dall’arcivescovo Giovanni Colombo
fu «la vita continua». Grazie a quella
campagna molte di quelle vite sfuggirono
all’aborto e oggi sono padri e madri
felici.