A quel tempo Lea Pericoli era un’icona,
la più bella del tennis italiano, nella
sua eleganza ricercata anche in campo,
la più vincente. Anche per questo la
sua testimonianza ha un peso simbolico potente.
«Era il 1973, giocavo e vincevo quando
scoprii di essere ammalata. Diversamente
da come si faceva all’epoca, in cui il cancro
non si poteva nominare tanto era temuto e
tabù, non nascosi nulla. Affrontai l’operazione
e tornai in campo, abbastanza forte da rivincere
il campionato italiano». Da allora
Lea Pericoli è un “soldatino”, così si definisce,
al servizio dell’Airc: «Mettendomi nei
panni di chi affrontava la malattia – c’ero appena
passata – capivo che se, nei momenti
difficili, avessi avuto davanti la testimonianza
positiva di una persona giovane e vincente
che ce l’aveva fatta mi avrebbe aiutata psicologicamente
». Mettersi a disposizione è
stato tutt’uno: «Le cose sono cambiate. Il fatto
che oggi si parli della malattia con naturalezza
rende tutto molto più facile ed efficace.
Molti passi avanti si sono fatti, anche se
bisogna lavorare ancora, soprattutto nella ricerca,
perché il cancro venga sconfitto. Per
questo non smetto di raccontare». l