Cari amici lettori, è di pochi giorni fa la notizia che al prossimo sinodo sulla sinodalità, che si svolgerà in ottobre a Roma, parteciperanno e avranno diritto di voto anche 70 «membri non vescovi», la metà dei quali dovrà essere composta da donne, laiche o consacrate, in rappresentanza delle Chiese locali sparse per il mondo. Si tratta di una novità di non poco conto il fatto che il sinodo dei vescovi, un organismo istituzionale fatto di soli uomini (vescovi o, al massimo, preti), sia allargato anche a una rappresentanza del popolo di Dio, che comprende anche le donne. La prima breccia c’era stata nel 2021, quando papa Francesco aveva nominato sottosegretario del Sinodo una suora, Nathalie Becquart, che – in virtù della sua funzione – era stata la prima donna a votare a un sinodo.
Fino al recente passato, ai sinodi avevano partecipato pochissime donne e solo in qualità di “uditrici” o “collaboratrici” (in ogni caso, senza diritto di voto). Dunque quella che ufficializzata ora dalla segreteria del Sinodo è a tutti gli effetti una svolta di carattere strutturale. I 70 membri non vescovi, scelti dal Papa da una lista di 140 persone individuate (non elette dalle varie riunioni sinodali), avranno diritto di voto. La motivazione che sta dietro a questa scelta, cioè l’uguale dignità di uomini e donne, discende dal Battesimo: in quanto battezzati siamo tutti membri a pieno titolo del “popolo di Dio”, categoria conciliare molto cara a papa Francesco. E ciò – come ha spiegato bene il cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo – abilita uomini e donne a essere parte attiva della Chiesa e ad avere “voce” anche nelle istituzioni che la guidano.
È bene riflettere su questa svolta nel Sinodo, perché tocca un aspetto importante per la vita della Chiesa, al di là del Sinodo stesso: che percezione abbiamo della presenza dell’«altra metà del cielo» nelle nostre comunità? Sappiamo che nella millenaria storia della Chiesa l’uguale dignità tra uomini e donne – una novità “introdotta” da Gesù, che aveva discepole al suo seguito e non solo discepoli (Luca 8,1-3), e continuata da san Paolo – si è presto offuscata, in rare occasioni è riemersa come un fiume carsico e solo da qualche decennio a questa parte ha ripreso spazio, come oggetto di dibattito e di riflessione autocritica. Si sta prendendo coscienza, insomma, che c’è una “metà” della Chiesa che “manca all’appello” e non ha voce sufficiente. I cambiamenti nella società hanno spinto senz’altro a mettere in discussione questo “stato di minorità” delle donne nella Chiesa e il tema è emerso nella prima fase sinodale che ha coinvolto anche il popolo di Dio.
L’uguale dignità delle donne è un diritto “originario” del cristianesimo e richiede forse una “presa d’atto” e una trasformazione della mentalità verso una effettiva uguaglianza che è ancora, forse, a metà del guado. La vita quotidiana della Chiesa va avanti anche grazie alla presenza costante di tante donne, impegnate in parrocchie, associazioni, movimenti. Se la presenza femminile in buona parte dei casi è stimata e valorizzata grazie al “buon senso” di tanti pastori, la svolta del Sinodo ci deve rendere avvertiti che questo non può essere solo un fatto occasionale, affidato alla “buona volontà” di persone illuminate, ma deve essere prassi “ordinaria” della Chiesa intera. Che ha inscritto nel suo “dna” la parola decisiva: «Non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28).