Con gli occhi chiusi, ha provato a mettere fard, ombretto, matita e rossetto. Così, Vasselina Soldatova, esperta di cosmesi e cura della pelle, si è esercitata per poter insegnare l'arte del make up a donne e ragazze con disabilità visiva.
Una “competenza” particolare che le permette di essere docente al laboratorio “La cura di sé”, promosso, per il terzo anno, dall'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti - sezione provinciale di Torino. Partito mercoledì 27 gennaio, con una decina di partecipanti, si svilupperà in dieci incontri teorico-pratici della durata di un'ora e mezza ciascuna.
«Trovo che le persone non vedenti – non tutte – tendenzialmente trascurano un po' l'aspetto esteriore», spiega Titti Panzarea, vicepresidente della sezione torinese dell'Uic (oltre che responsabile delle pari opportunità), non vedente dalla nascita. «E non va bene, noi dobbiamo vivere alla pari gli altri. Una donna che non vede è donna tanto quanto una che vede bene. Purtroppo, la società ci considera diversi, ma non è così. Io ho avuto una famiglia meravigliosa, che mi ha sempre sostenuta, che fin da piccola mi ha stimolata. Nella vita, ho imparato a fare tutto. Certo, ci sono i limiti, ci sono i tempi più lunghi, per fare quello che una persona vedente fa in cinque minuti, io magari ho bisogno di un quarto d'ora. Eppure, ho studiato, lavorato, portato avanti la famiglia... Si può fare, si deve fare. Il laboratorio di trucco rientra in questo “smuovere” le persone, così come gli altri corsi che organizziamo, di cucina, di pasticceria...».
- Come si riesce a truccarsi senza potersi guardare in uno specchio?
«L'importante è seguire i gesti. Io ho parecchia manualità e, facendomi applicare il trucco dalle amiche, sentendo le loro dita, ho memorizzato e imparato a ripetere quei gesti. Mi trucco da quando avevo vent'anni e oggi sono in pensione. Però, confesso che, siccome non mi sento mai del tutto sicura, mi faccio sempre guardare da qualcuno, che mi dica se sono a posto».
- Qual è l'obiettivo del laboratorio?
«Non certo quello di creare professioniste del trucco, l'obiettivo è portare qualsiasi donna a raggiungere un livello di autonomia nella cura di sé, poi c'è chi è più brava, e chi meno, come in qualsiasi altra attività. Ma tutte devono poter sentirsi in ordine con sé stesse e con gli altri. La vista è il senso più importante e la disabilità visiva è una cosa seria, ma, piano piano, con pazienza, tutto si può fare. Le mani sono i nostri occhi».
- Qualche suggerimento pratico?
«Io, per esempio, non compro mai trousse dove ci sono tanti colori, compro scatoline singole o quelle che contengono al massimo due sfumature di un ombretto e, per ogni scatolina, appiccico l'etichetta che scrivo in braille».
- Il laboratorio è aperto anche a chi non ha problemi di vista, donne e anche uomini?
«Certo, perché il mondo esterno non conosce le nostre problematiche. Quello che si riesce a fare insieme, ci aiuta a farci conoscere. Poiché il corso di quest'anno non si ferma all'insegnamento specifico sul trucco, può essere di interesse anche per gli uomini. Si parlerà di cura del viso, dei giusti prodotti da usare, quelli più naturali, di relazione tra alimentazione e cute, dei trattamenti anti-età, e impareremo la tecnica dell'automassaggio». Una cura del viso che diventa cura dell'anima.