Tutti nel Regno Unito si ricordano dove erano quando la Tv e la radio annunciarono la sua morte, diffondendo in sottofondo l’inno nazionale. Perché se Diana non ebbe certo la santità di Madre Teresa, sua amica, morta qualche giorno dopo, condivise però con lei la capacità unica di raggiungere il cuore di tutti. Nel suo caso, purtroppo, grazie a un’infanzia terribile che le fece conoscere il dolore dell’abbandono. Il trauma di quei passi notturni con cui la mamma la lasciò, piccolissima, ad appena sei anni, insieme al fratellino e alle sorelle, le diede una sensibilità unica per le sofferenze altrui. Lebbrosi, malati di Aids o semplici amici in difcoltà. La principessa, ancora ragazzina, giocava volentieri con i portatori di handicap, facendo volteggiare le loro carrozzine, mentre le amiche reagivano con distacco alla vista di quei malati.
Pietosa, caritatevole, piena di affetto e di vita. Così l’hanno ricordata i figli William e Harry, parlando pubblicamente, per la prima volta, del dolore di averla persa, «perché vogliamo che tutti la conoscano come era davvero, per il suo amore per tutti e la voglia di vivere». «Ci siamo sentiti incredibilmente amati», hanno detto in diversi programmi trasmessi dalle più importanti emittenti britanniche. «Ed era un amore che si sentiva appena lei entrava nella stanza. Portava una ventata d’aria fresca in tutto quello che faceva». I due giovani principi hanno parlato del dispiacere di non aver trascorso qualche minuto in più in quella telefonata con cui la principessa li salutò per l’ultima volta. Lei in partenza per Parigi, con il nuovo compagno Dody Al-Fayed, ma profondamente sola dentro. Loro in vacanza con la regina a Balmoral, troppo occupati nei giochi coi cugini per parlare con la mamma.
Per ricordare e capire Diana, a vent’anni dalla morte, bisogna guardare loro, questi gli adoratissimi, così simili alla “principessa del popolo”, come la chiamò Tony Blair a pochi minuti dalla morte, il 31 agosto 1997.
William e Harry, secondo e quinto in linea di successione al trono britannico (il primo è il principe Carlo, il terzo e la quarta sono i due figli di William, George e Charlotte), raccontano come Diana li abbia cresciuti trasformando nello stesso tempo, per sempre, la monarchia, unica istituzione in grado di tenere insieme il Regno Unito.
Nella devozione con cui il primogenito William cura i suoi due figli, preferendoli agli impegni ufficiali, («mi preoccuperei se non ricevessero da me sufficienti attenzioni») si vede il caldo abbraccio con cui lo avvolgeva la mamma.
Quanta differenza dal distacco con cui la regina Elisabetta trattava (e tratta) Carlo, facendolo aspettare, piccolissimo e ansioso di abbracciarla, dopo che non l’aveva vista per mesi, perché prima di lui venivano gli ambasciatori.
Così cambia la monarchia, grazie al coraggio dei suoi eredi. Perché si sa che “il Palazzo”, l’apparato di burocrati e servitori dai quali la sovrana dipende per gli impegni di tutti i giorni, non ama questo lato materno di William e lo vorrebbe più grigio, severo e maggiormente impegnato nell’ufficialità. Proprio come la nonna, la Regina Madre che, sul balcone di Buckingham Palace, riprese il nipote Carlo perché si chinava a coccolare i figli invece di salutare la folla, riunita a festeggiare i suoi novant’anni.
Diana ha scongelato per sempre la monarchia e il Paese, accelerando un processo, già avviato, di manifestazione anziché controllo delle emozioni, poiché giovanissima apparteneva a una nuova generazione.
Fu lei a confessare in televisione malattie, tradimenti e debolezze, nell’intervista del novembre 1995 concordata, all’insaputa della regina, con la Bbc. E alla sua morte Elisabetta fu costretta ad ammainare la bandiera a mezz’asta a Buckingham Palace, in segno di lutto, rompendo con la tradizione che la vuole abbassata soltanto alla morte di un sovrano. E fu sempre la regina, accusata dal popolo, quando la nuora morì, di freddezza e indifferenza nei suoi confronti, a dover fare bagno di umiltà chinando platealmente la testa al passaggio del feretro.
Elisabetta disse alla nazione che: «La principessa era un essere umano eccezionale» e che «c’erano lezioni da imparare dalla sua vita e dalla straordinaria e commovente reazione alla sua morte».
Quel settembre di vent’anni fa un intero Paese si vestì a lutto e discese su Londra. Bambini piccolissimi vestiti di nero salirono sui treni al mattino presto per portare bouquet di fiori a Kensington Palace, dove viveva la principessa. Un intero Paese pianse: i sudditi di Sua Maestà manifestarono il lutto come forse non avevano mai fatto. Anche la regina cambiò per sempre. Se oggi si siede con gli scolari quando visita una scuola, anziché limitarsi a parlare con la preside, o si accomoda sul divano di una povera pensionata e incontra la gente da McDonald, cosa impensabile fino a trent’anni fa, lo dobbiamo alla principessa Diana.
Il principe Harry ha ammesso, la scorsa primavera, di essere ricorso all’aiuto della psicoterapia per fare i conti con il lutto non risolto della morte della mamma. Ha criticato papà Carlo e nonna Elisabetta, raccontando la sofferenza di dover camminare da solo, a soli dodici anni, dietro la bara della madre. «Era appena morta e io ho dovuto seguirne il feretro, circondato da migliaia di persone, mentre in milioni mi guardavano alla televisione», ha detto. «Non penso che a nessun bambino dovrebbe essere chiesto di fare tanto e non penso che succederebbe oggi». Un’esperienza che gli ha provocato attacchi di panico in età adulta quando il suo corpo veniva scosso “come una lavatrice” quando si ritrovava in una stanza piena di persone. Il principe ce l’ha fatta – lo racconta sempre lui – a superare il trauma ed è oggi, a trentadue anni, un uomo maturo che guarda alla vita con fiducia. Fidanzato con l’attrice separata Meghan Markle, è pronto a sposarla e dice di sperare di avere, un giorno, figli suoi. Le sue parole raccontano una monarchia cambiata per sempre.
«La monarchia è una forza per il bene» – è sempre Harry a parlare – «e vogliamo continuare l’atmosfera positiva che la regina è riuscita a mantenere, per oltre sessant’anni, ma non la copieremo. Vogliamo modernizzare la corona non per noi stessi ma per il bene della gente». Come non ripensare alla figura di Diana, ai suoi scontri con la corte perché voleva uno stile più informale? Perché voleva toccare poveri e malati? Perché non si sottraeva quando la folla la cercava? Fu la principessa triste a portare i figli, di appena sei e otto anni, tra i senzatetto e i malati di Aids, incoraggiata proprio da Madre Teresa. A vent’anni dalla morte la sua eredità è stata raccolta. William e Harry hanno detto che la mamma ha insegnato loro la normalità e continuano le sue attività. «Ho scelto le associazioni di beneficenza che mia madre mi avrebbe consigliato», ha detto Harry.
Certo anche la regina Elisabetta, quest’estate, proverà riconoscenza per quella nuora così difficile e ribelle che gli ha insegnato a sciogliersi un po’. Perché la monarchia vive del consenso dei suoi sudditi che potrebbero scegliere, in qualunque momento, una repubblica.
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