Nicola Lagioia con la moglie, a cui ha dedicato la vittoria. In alto: lo scrittore alla premiazione.
Con La Ferocia (Einaudi), Nicola Lagioia si aggiudica la 69^ edizione del Premio Strega. Secondo il rito che si ripete dall’alba del secondo dopoguerra, quando intorno a Maria e Goffredo Bellonci si radunò il gruppo degli Amici della Domenica, ieri sera il Presidente di seggio Francesco Piccolo, vincitore dell’edizione 2014, affiancato dal Presidente della Fondazione Bellonci Tullio De Mauro e da Alberto Foschini, Presidente di Strega Alberti Benevento, ha presieduto lo scrutinio dei voti.
Una novità del Premio Strega di quest'anno riguarda il sistema di votazione che contempla l’espressione non più di un solo voto ma di tre per la cinquina e l’aggiunta di 60 lettori selezionati da librerie indipendenti italiane e 15 voti collettivi espressi da scuole, università e Istituti Italiani di Cultura all'estero, per un totale di 460 votanti.
Il vincitore ha dedicato le prime, emozionate parole a sua moglie: “Ringrazio mia moglie Chiara, senza la quale non avrei mai scritto questo libro. Mi è rimasta accanto e insieme abbiamo fatto un esperimento. Il mio è un libro che entra in profondità nei meandri meno piacevoli e inquietanti dell’animo umano. La presenza di mia moglie è stata fondamentale perché, ogni giorno, mi esercitavo a chiederle: “Tu cosa avresti fatto se ti fosse accaduta questa cosa qui?”.
Cosa rappresenta per lei lo Strega?
«Lo strega rappresenta chilometri in più che si aggiungono alla lunga marcia che ho fatto con questo libro. Da quando è uscito, a fine settembre, l’ho portato in giro in tutta Italia. Doveva fare un po’ di strada e insieme a una vera squadra di lavoro che è stata quella di Einaudi, ho fatto un centinaio di presentazioni quasi conquistandomi i lettori uno ad uno».
Quest’anno, in cinquina con lei c’era anche Elena Ferrante, la scrittrice senza un volto.
«Come dice Proust, le cose importanti sono le opere e non gli autori, quindi va benissimo così».
Mi parli dei Salvemini, la famiglia protagonista del suo libro.
«I Salvemini sono una delle tante manifestazioni del familismo amorale. E’ una famiglia di palazzinari che intrattiene rapporti non puliti con il potere e, da Rosi a Calvino, la speculazione edilizia è sempre stata una buona cartina di tornasole per raccontare questo Paese. I Salvemini sono dei degni rappresentanti dell’Italia di questi anni, una famiglia in cui la lingua parlata è quella del potere, così pervasiva che finisce per “parlare” i protagonisti. Ma a volte, in queste famiglie nascono dei figli sbagliati, come Clara e suo fratello, che metteranno i bastoni tra le ruote ai loro intrighi».
Lo Strega è senza dubbio una cassa di risonanza, ma perché i lettori dovrebbero comprare il suo libro?
«E’ bellissimo che siano i lettori a scegliere quando e se comprare un libro. Da ragazzino andavo in libreria e, in maniera quasi istintiva, mettevo le mani sui libri, leggevo e dicevo: “Questi saranno i miei compagni di viaggio”. Se questa cosa può succedere con La ferocia sono contento ma se questa molla non scatta ci sono tanti altri libri da leggere e il lettore è libero di fare ciò che vuole».
Ci vuole ferocia nella vita e nella sua professione?
«No, perché con la ferocia si fanno più danni che altro, come sta sperimentando il popolo greco in questi giorni. La ferocia è un istinto che porta ad aggredire l’altro, ma la cosa che più mi interessa è il suo antidoto e gli uomini sono tra i pochi animali in grado di estirpare la prevaricazione insita in loro.
Nel lavoro di scrittore non ci vuole ferocia ma costanza. Scrivere un romanzo come questo è stata una scommessa e ha significato lavorare con l’alito del fallimento sul collo e cinque anni fa, quando ho iniziato a scriverlo, vivevo anche un periodo complicato anche dal punto di vista economico. La scommessa è stata voler scrivere un libro complesso e pieno di sfumature e vedere cosa sarebbe successo. Un mio amico mi aveva detto che un libro così denso e lungo non sarebbe andato lontano, ma la cosa importante è fidarsi della letteratura e, come dice Fofi, “Fai quelche devi, succeda quel che può.” E io sono arrivato fin qui».