Niente più deserto, niente tende,
niente più sabbia sulla faccia.
La patria ora ha il volto delle case
di pietra e degli agrumeti di Riace. È
così per un gruppo di rifugiati iracheni
di origine palestinese, in prevalenza famiglie,
che hanno trovato un nuovo alloggio
in questo comune celebre per i
suoi bronzi. È l’altra faccia della Calabria
xenofoba della guerriglia di Rosarno.
Riace è il paese dell’accoglienza. La
scorsa settimana, un terzo gruppo di
profughi ha raggiunto questo paesino
di 1.600 abitanti che pare un presepe
tra i monti, anche se è a due passi dal
mare, dissanguato dall’emigrazione e
dalla crisi demografica, per insediarsi in
case vuote da decenni. Un’operazione
fortissimamente voluta dal sindaco del
Comune Mimmo Lucano, che oggi si ritrova
in testa alla lista di quanti lavorano
per cancellare la macchia xenofoba
che pesa sulla sua regione.
Il pullman arriva nella notte, uomini,
donne e bambini si ritrovano in piazza,
accolti dai rifugiati già arrivati lo scorso
anno e perfettamente integrati con gli
abitanti del paese. Con loro c’è anche
Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr
Italia. Hanno vissuto nel campo di Al
Tanf, allestito nel maggio del 2006 dopo
che a un gruppo di palestinesi in fuga
fu negato l’ingresso in Siria. Una striscia
di deserto, una terra di nessuno
compresa tra un muro di cemento,
un’autostrada e la dogana. Il sindaco li
guida per le viuzze strette fino a Palazzo
Pinnarò, dove ha sede l’associazione
Città futura, luogo di accoglienza per
scambi culturali, rifugiati politici, vittime
del disagio sociale. Il sindaco spalanca
le finestre dei nuovi alloggi.
All’alba, nella luce dell’aurora, da quelle
finestre si scorgerà l’orizzonte di uno
dei mari più belli d’Italia. I nuovi arrivati
daranno vita agli antichi mestieri artigiani
in via di estinzione, secondo un programma
di formazione ben preciso che
coinvolge anche i riacesi. Produrranno
olio, decoreranno ceramiche, si occuperanno
di filatura e artigianato locale,
apriranno taverne e osterie. Tutto questo
è stato possibile grazie alla volontà
del sindaco e del progetto di reinsediamento
del ministero dell’Interno, coadiuvato
dall’Unhcr, l’Alto commissariato
Onu per i rifugiati politici, in collaborazione
con l’Oim, l’Organizzazione internazionale
delle migrazioni.
«Il reinsediamento», spiega Flavio Di
Giacomo, dell’Oim, «dà la possibilità di
andare a offrire protezione a coloro che
sono più vulnerabili, che da soli nulla
potrebbero fare per cambiare la loro situazione,
né potrebbero venire a chiedere
asilo in Europa o in altri Paesi occidentali.
Attuare programmi così è anche
un mezzo per sviluppare politiche
di integrazione efficaci e a lungo termine
». Molti Paesi lo fanno già da tempo,
dagli Stati Uniti al Cile, dalla Svizzera
alla Norvegia. L’Italia è arrivata
ultima ma c’è. Ed è un gran risultato
considerata l’aria che tira.