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lunedì 09 settembre 2024
 
 

2013: il bambino è nato a Lampedusa

24/12/2013  Incontro con gli abitanti che da vent'anni hanno aperto le porte ai migranti, tra rabbia per uno Stato assente e un grande cuore che aiuta ed è di esempio per tutti gli italiani.

Chi è l’italiano dell’anno, l’uomo del 2013? In realtà, per Famiglia Cristiana sono circa 6 mila gli italiani dell’anno, sono i lampedusani, è Lampedusa tutta insieme, con le sue storie di pazienza infinita di fronte a mille problemi interni irrisolti, ma capace di darsi, offrirsi come esempio per chi viene da fuori, da lontano, con molte speranze e troppe paure da cancellare. Lampedusa, oggi, è l’isola che non c’è e basta un breve soggiorno per capire che il luogo più lontano dall’Italia, più a sud perfino di Tunisi, più vicino all’Africa che a noi, è un condensato di contraddizioni senza pari.
L’isola che non c’è (almeno per lo Stato) è al contempo l’isola dove tutti, ma proprio tutti, finiscono per arrivare. Perfino il pesce palla maculato, velenosissimo abitante dell’Oceano indiano, ha attraversato il Canale di Suez e si è diretto qui, a Lampedusa. Fuori dalle pescherie del porto, in bella vista, c’è la foto del “ricercato”, con l’indicazione: “Avvertire immediatamente le autorità, nel caso in cui qualcuno se lo ritrovi nelle reti”.

Fuga dalle dittature

Come i pesci palla maculati emigrati da Suez, a Lampedusa tentano di rifugiarsi e approdare i reietti fuggiti dalle dittature, dalle guerre, dalla sopraffazione, dalla povertà che sa uccidere anche più delle armi stesse. Ingenui, speranzosi, hanno saputo che c’è “la porta d’Europa” pronta ad aprirsi per loro. Ma troppo spesso non sanno che prima dell’approdo potrebbe esserci la condanna ad affogare, a morire davanti a quel pezzetto di terra in mezzo all’acqua. Giungono dalla Libia, dalla Siria, dall’Eritrea, da ovunque credono di poter affrontare il viaggio. «Ho iniziato il mio lavoro qui il 26 settembre», racconta il capitano dell’Esercito Leandro Giordano. «Ho avuto giusto il tempo di rendermi conto della situazione e il 3 ottobre c’è stata la tragedia. Ero qui per una missione di soccorso; è diventata una missione di recupero». Sì, di recupero di corpi, 366 per la precisione. «Un’esperienza che non auguro a nessuno». Giordano comanda un centinaio di soldati con il compito di “sorveglianza e controllo del Centro di soccorso e prima accoglienza”, il luogo dove chi è riuscito ad arrivare vivo a Lampedusa viene condotto. Momentaneamente, dicono. L’Esercito ha anche il controllo del sito di stoccaggio dei barconi, quello che tutti chiamano “il cimitero delle barche”.

Sta davanti al porto che divide la città da quello sfacelo. Da una parte le case dei lampedusani, dall’altra i relitti dei naufragi. Hanno cominciato a metterli lì provvisoriamente e si sa che niente è più definitivo in Italia della parola “provvisorio”. Chi viene dalla Sicilia guarda quegli avanzi di barche e pensa che stiano lì come un monito per tutti, perché solo vedendo ci si può rendere conto che quelli che chiamiamo con eufemismo viaggi della speranza sono solo un tradimento alla dignità delle persone. Ma Giusi Nicolini, sindaco dell’isola, è dura e al contempo disarmata: «Il prezzo che si paga sul tema dei diritti umani non può pagarlo Lampedusa. L’area dei barconi non basta più; era un rifugio momentaneo ed è diventato un immondezzaio a cielo aperto. L’impatto ambientale è terribile». Già: topi, legni marciti, ferraglia arrugginita, perfino parti in amianto, a quanto dicono i lampedusani. Un cimitero delle barche in un luogo che, prosegue il sindaco, «non ha un obitorio né celle frigorifere » per i corpi delle persone “recuperate”, secondo quella dizione obbligatoriamente burocratica del capitano Giordano.

L’AEREO PER PARTORIRE

  

E tutto questo è solo l’inizio di quello che non si vede ma c’è, sull’isola che non c’è. Non c’è un ospedale, per esempio, e un parto può costare anche 10 mila euro a famiglia. Perché bisogna prendere l’aereo per la Sicilia per far nascere un lampedusano, due voli soli al giorno, alle 7 e alle 16.
Le donne prendono quel piccolo aereo, un’ora di volo per Palermo, come fosse un autobus, ma a che prezzo! Con loro, qualche parente, ci mancherebbe. E magari dalle doglie al parto passa tempo, qualche ora, qualche giorno. E allora aggiungiamoci anche i costi dell’albergo per chi vuole stare vicino a chi vuol dare la vita. Ma il sindaco dice no all’idea di un reparto maternità e spiega: «I costi sarebbero troppo elevati. Non conviene né dal punto di visto economico né da quello professionale. Chi ci manderebbero qui, se lo immagina?Meglio un rimborso delle spese; ci stiamo pensando».

E mentre pensa al rimborso, butta lì che «non c’è rete fognaria né idrica». Nell’isola che non c’è si paga più che altrove, un altrove talmente lontano da non riuscire a immaginare i problemi strutturali di Lampedusa. Sapete quanto costa la benzina? C’è un solo distributore di carburante: 2,20 euro al litro. Perché? Ancora Giusi Nicolini: «Gli autotrasportatori siciliani fanno cartello».
Eh, sì: c’è il trasporto, una decina d’ore di traghetto, per cui, se volete la benzina, il prezzo è questo, prendere o lasciare. Il commento del sindaco è lapidario: «Questa è un’isola che deve ancora entrare in Italia». Ma i lampedusani ci entrano per obbligo, in Italia.
Lo fanno con le scuole, per esempio. C’è solo un liceo, lo scientifico, e chi dopo le medie vorrebbe fare altro deve andare in Sicilia. E giù ancora soldi, soldi, sempre soldi. Eppure, proprio queste difficoltà favoriscono un modo di pensare, di comportarsi, di essere, che è da esempio per tutti. L’accoglienza è la parola più di casa, qui.

Racconta don Mimmo Zambito, parroco di Lampedusa: «Proprio per la peculiarità di quest’isola, gli abitanti hanno la percezione della fatica di chi arriva; è una comunità, la nostra, che avverte gli stimoli ma che chiede anche corrispondenza di impegni».
Don Mimmo è parroco dal 18 ottobre scorso; dunque, è arrivato proprio nel periodo seguente le ultime tragedie: «Sì, ma ero già qui nei giorni del recupero delle salme, perché stavo partecipando a un convegno regionale della Caritas. E ho notato un atteggiamento naturale di comprensione e accettazione di una convivenza così difficile e improvvisa, e non ci sono stati momenti di tensione. Eppure, lo stress emotivo era enorme.
Ci vuole fede, cultura, psicologia per non perdersi. Allora dico che c’è una “grazia particolare” in quest’isola». Ma può bastare?, chiediamo a don Mimmo, che sorride e capisce: «Si riferisce alla politica, forse? È questo che vuole sapere? C’è il vuoto della politica, c’è. Ma il 90 per cento di quello che rimproveriamo all’Europa dipende da noi. Giochiamocela con coraggio la carta dell’isola, dunque. L’arrivo del Papa ci apre a un’interpretazione del futuro e suggerisce un metodo: leggere la cronaca e, partendo da lì, fare».

Il progetto di una biblioteca

  

E c’è chi fa. Piccole cose, in apparenza, perché l’isola che non c’è appare molto, scompare per molto e poi riemerge. Chi è partito da qui si è portato la sua isola non solo nel cuore, ma anche sul lavoro. Come Giovanni Vescovi, che si è laureato a Milano all’Università Bicocca. In cosa? Sociologia dell’emigrazione, guarda caso, con una tesi proprio su Lampedusa. O Francesco Vigneri, altro laureato in Sociologia, che a Palermo tiene un master sulle vicende lampedusane. Ma se c’è chi va via, c’è anche chi arriva. O si occupa di chi vorrebbe andarsene.
Come Ibby, International board on books for young people, organizzazione non profit di oltre 70 Paesi, impegnata a far conoscere i libri a bambini e ragazzi. Per Lampedusa hanno progettato l’apertura di una biblioteca. I locali e le autorizzazioni comunali ci sono.
Loro ci mettono 300 volumi senza parole, «perché li possano leggere bambini italiani e migranti», dicono. Così come Silvia Tempesti, milanese, assistente sociale specialista, laureata all’Università Cattolica in Scienze dei fenomeni sociali e processi organizzativi, volontaria tramite la Caritas di un progetto di Save the children per i bambini degli immigrati. È rimasta nell’isola anche dopo l’emergenza di quelle terribili giornate di ottobre: «Quando il progetto è terminato ho cominciato a collaborare con l’assessore ai servizi sociali. Se prima vivevo in un mondo a parte, fatto di bambini, giochi, sorrisi ma anche dure testimonianze, adesso vivo la vera Lampedusa, con i suoi problemi e le sue realtà. Qui non c’è solo il problema immigrazione e ad avere bisogno d’attenzione non sono solo i bambini migranti, ma anche quelli lampedusani che non hanno punti di ritrovo. Non ci sono oratori o centri d’aggregazione».

I lampedusani, però, amano la loro isola che non c’è. Lo dimostra anche Antonino Taranto, autore del volume Breve storia di Lampedusa, edito dall’Archivio storico Lampedusa, associazione culturale impegnata in quel settore che ci ostiniamo a chiamare memoria storica. Chi ci lavora conserva e diffonde immagini e scritti affinché Lampedusa diventi l’isola che c’è. Per tutti, nessuno escluso. Così come fa, in chiave più turistica, ma ugualmente utile, Gian Carlo Troiani, editore di L’isolabella, un quindicinale d’informazione in estate, mensile d’inverno, che ha dato alle stampe un volume dopo la visita di papa Francesco, Benvenuto tra gli ultimi - Dall’invasione alla vergogna, scritto da Calogero Maria Sparma e Maria Veronica Policardi, con foto di Mauro Buccarello. Anche i programmi scolastici vivono in funzione della realtà odierna, grazie alla fondazione Migrantes, organismo della Cei nato per assicurare assistenza religiosa, accoglienza fraterna e convivenza rispettosa dei diritti umani dei migranti. Migrantes ha proposto alle scuole “Il viaggio della vita”, un progetto educativo e formativo per i ragazzi, in un programma triennale che va dalla quinta elementare alla terza liceo. “Il viaggio della vita” è il racconto dell’esperienza di chi è approdato a Lampedusa; quest’anno riguarda la storia di un giovane proveniente dalla Costa d’Avorio. Il fine è far conoscere le molte ragioni di questo viaggio della speranza, oltre a quello di formare giovani animatori interculturali che faranno pratica con i ragazzini delle elementari. Germano Garatto, esperto di psicosociologia delle migrazioni e formatore alla comunicazione interculturale, si dice soddisfatto del primo impatto: «Il coinvolgimento è notevole: 25 insegnanti hanno accettato il programma e le famiglie dei ragazzi sono favorevoli. L’esperienza di Lampedusa servirà a creare nuove esperienze alternative in Europa».

Non sembrano badarci, ma sotto sotto questi isolani hanno piena coscienza di essere gli italiani del 2013. Il capitano Giordano non può che ripetere quanto i lampedusani abbiano fatto per rendersi utili. E loro continuano a fare, come il 3 dicembre scorso, quando hanno organizzato una processione fino alla spiaggia per ricordare a distanza di due mesi l’ultima tragedia. Un’altra testimonianza di chi non vuole arrendersi, ma si rimbocca le maniche e dà il buon esempio.

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