«Siamo qui per fare memoria della tragedia del 3 ottobre 2013 e di tutti gli altri morti del Mediterraneo: uomini e donne che hanno perso la vita sperando libertà, giustizia e diritti». Padre Mussie Zerai, sacerdote cattolico di rito copto eritreo, è in testa al corteo del migliaio di persone che da via Roma, nel centro di Lampedusa, inizia il suo percorso fino alla Porta d'Europa, il monumento di Mimmo Palladino posto su una scogliera di roccia calcarea tra l'aeroporto e il mare.
Il naufragio: 368 vittime
Tre anni fa, in questo stesso giorno di inizio autunno, un barcone colmo di migranti naufragò a poche centinaia di metri dalla costa: 368 persone, quasi tutti eritrei, morirono. Tanti altri furono fortunatamente tratti in salvo dalla capitaneria di porto e da pescatori lampedusani che, casualmente, erano nei paraggi. Da allora quella tragedia ha segnato la piccola isola siciliana: un simbolo dello spirito di accoglienza della cittadinanza locale, ma anche un monito all'intera Europa affinché il Mediterraneo non si trasformi in teatro di un nuovo olocausto. Aggiunge padre Zerai: «Siamo qui anche per lanciare un appello ai governanti dell'UE, ammesso che ci sia qualcuno che ascolti. Vogliamo dire: mai più tragedie del genere! Eppure, dall'inizio del 2016 a oggi abbiamo avuto già più di 4 mila morti».
Parrocchia, Comunità di Sant'Egidio e Mediterranean Hope celebrano insieme
A Lampedusa, scoglio di fenomenale bellezza naturale ed estrema frontiera sud del continente europeo, i cristiani di tutte le confessioni sono in prima fila sul fronte dell'accoglienza dei rifugiati che quotidianamente sbarcano su queste coste. Ma nessuno si accontenta più di offrire soltanto aiuto, cibo e rifugio. Nelle Chiese è ormai da anni sorto un forte spirito di denuncia, di rifiuto di ogni rassegnazione di fronte alle stragi quotidiane e silenziose dei naufragi di disperati. Non è un caso, quindi, che anche quest'anno la parrocchia cattolica dell'isola insieme alla Comunità di Sant'Egidio e a Mediterranean Hope, organismo della Federazione delle Chiese evangeliche italiane, abbia organizzato una celebrazione ecumenica per ricordare il 3 ottobre. «Come cittadini, oltre che come cristiani, la nostra coscienza si ribella», dice Paolo Naso, valdese, responsabile del progetto Mediterranean Hope, nella chiesa di San Gerlando. «Esistono alternative alle morti in mare e si chiamano Corridoi umanitari: è un'iniziativa che noi e Sant'Egidio stiamo già sperimentando, con l'appoggio del governo italiano. Grazie a questa soluzione, 300 persone vulnerabili sono potute giungere sulle nostre coste senza doversi affidare all'arbitrio degli scafisti e al rischio di perdere la vita tra le onde».
Non con gli occhi della paura e dell'egoismo ma con quelli del diritto e della solidarietà
«L'identità cristiana non può essere escludente, ma inclusiva», gli fa eco don Mimmo Zambito, il parroco che ha promosso la collaborazione ecumenica con le Chiese protestanti e che proprio in questi giorni sta per lasciare l'isola, destinato ad altro incarico nella diocesi di Agrigento.
È ormai calata la sera a Lampedusa. Al termine della celebrazione, i partecipanti – cattolici e protestanti di diverse nazionalità – sottoscrivono una Dichiarazione di impegno: «Oggi in quest'isola, in questa chiesa e con rinnovato impegno ecumenico e interreligioso», dicono, «ci impegniamo a lanciare un nuovo appello alla comunità internazionale, alle leadership europee e mondiali, alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ancora indifferenti o esitanti di fronte alle sofferenze dei migranti e dei profughi». A tutti, continua la dichiarazione, «chiediamo di guardare alle migrazioni mediterranee non con gli occhi della paura e dell'egoismo ma con quelli del diritto e della solidarietà. Lanciamo questo appello da Lampedusa perché non diventi una frontiera di nuovi fili spinati, ma un luogo in cui uomini e donne di buona volontà costruiscano ponti di dialogo, di cooperazione e di pace».