«Il contesto sociale, politico ed economico in cui Milano si sta preparando ad Expo 2015 appare segnato più dall’incertezza e dalla sfiducia che dallo slancio vitale di chi tende a una meta in grado di generare benessere condiviso, sviluppo sostenibile, ripresa economica». Il cardinale Angelo Scola parla alla città nel tradizionale discorso pronunciato nella basilica di Sant'Ambrogio, alla vigilia della festa del patrono di Milano. «Si è talora tentati», sottolinea l'arcivescovo, «di ricorrere a narrazioni sulla vita della nostra città che indugiano più sugli aspetti disgreganti che su quelli costruttivi». «Tutti sentiamo l’urgenza di un cambiamento, di una novità radicale». Un nuovo umanesimo, dunque.
«Nuovo umanesimo solo se sorge dal di dentro dei ritmi e dei processi dell’attuale travaglio storico» ha specificato il cardinale. «Il nuovo non è l’inedito a ogni costo. Piuttosto nuovo è camminare non perdendo l’origine, è un ri-cominciare. Un nuovo umanesimo di cui hanno bisogno Milano e le terre ambrosiane per trovare l’anima del loro futuro».
Come? Scola si è rivolto interpellando direttamente i cristiani «che non possono disertare perché membri a tutti gli effetti della famiglia umana dal compito di offrire un contributo all’edificazione della vita buona nella società plurale», chiedendo loro di far fronte alla critica di antropocentrismo: «Centralità dell’uomo non significa che dall’uomo tutto abbia origine e nell’uomo tutto trovi destinazione». «In primo luogo egli è in relazione con il Creatore che gli ha dato liberamente e gratuitamente la vita: l’uomo, infatti, è donato a se stesso. È su questo rapporto con il Creatore che si fonda la dignità dell’uomo». «Inoltre» ha proseguito l’arcivescovo, «è solidale con tutti gli altri uomini e donne che costituiscono la famiglia umana», «ogni uomo è un dono per gli altri» e infine: «è in relazione con tutto il creato che gli è stato donato come dimora di cui prendersi cura». e ha concluso: «Il nuovo Umanesimo sarà quindi, in termini originali, un umanesimo del “dono di sé” da parte di ogni uomo e di ogni donna, attraverso il loro essere costitutivamente in-relazione».
PER MILANO E LE TERRE AMBROSIANE
Guardando alla nostra storia possiamo parlare di un autentico umanesimo della responsabilità: piedi per terra e sguardo rivolto al cielo». Una tradizione che si è alimentata nel tempo e che ha permesso a Milano di affrontare «impegnative trasformazioni sociali ed economiche, mettendo a frutto le sue risorse culturali di fondo, quali lo spirito innovativo,l’operosità, la capacità d’iniziativa applicata ai diversi campi, compreso quello della solidarietà. Sono queste virtù morali e culturali che hanno reso Milano una città solidale, aperta a tutti, capace di accogliere e integrare le diversità, sempre nell’orizzonte della centralità della persona».
Dopo un breve excursus attraverso le tappe significative della storia della città, con un affondo particolare «sullo stile di vita della “Milano da bere” – favorito dallo sviluppo delle televisioni commerciali e dei mezzi di comunicazione intesi come “industria culturale” – è diventato il brodo di coltura entro il quale ha preso avvio un processo distorsivo dei meccanismi di riproduzione del capitale sociale e culturale della città che, al di là di ogni giudizio storico o politico, ha trovato drammatica espressione nella vicenda di Tangentopoli», arrivano all’oggi l’Arcivescovo ha denunciato «per la bruciante attualità, la situazione in cui versano le case popolari nella nostra città». «Si è giunti al paradosso di “abitanti senza case” e “case senza abitanti”». Finendo positivamente: «Assistiamo al paradosso per cui a un crescente processo di individualizzazione si accompagna il sorgere di nuove forme di relazione, di legame sociale e di comunità. Troviamo nelle nostre terre ambrosiane anche l’affermarsi di un nuovo processo di ri-socializzazione, esperienze capaci di innovazione».
LA VIA DEL NUOVO UMANESIMO
«Con realismo» ha proseguito Scola, «
guardiamo al travaglio di oggi con spirito di ad-ventura, cioè rivolti al futuro». «Un nuovo umanesimo non è altro che la capacità insita nella fede cristiana di generare cultura, cioè di proporre agli uomini e alle donne di ogni tempo, partendo dal loro peculiare contesto storico, sociale e culturale un senso per vivere il quotidiano». «
Per i cristiani la via per testimoniare un nuovo umanesimo inizia dalla vita di tutti i giorni».
Vivendo «in tutte le situazioni e circostanze dell’esistenza», dalla vita sociale ai “costumi”, dal lavoro all’economia («Nel tessuto economico milanese si riscontrano risorse promettenti per il lavoro legate alla moda, del design, delle cultura e degli eventi.
Ma si rivela sempre più necessario lasciarsi interrogare dal nuovo e dalle sue conseguenze evitando sterili arroccamenti su modelli di lavoro destinati a scomparire»), dall’educazione alla cultura all’arte al turismo, dalla fragilità all’emarginazione («la folta e ricca rete di operatori sociali e di carità presenti nel nostro territorio è già realizzazione di nuovo umanesimo. Queste opere necessitano di approfondimento educativo e culturale a cominciare dalle migliaia di volontari che le sostengono, pensando il nesso tra carità e cultura»), «
una vera “cultura dell’incontro”».
DALLA FRAMMENTAZIONE ALL’UNITA’
Dalle parole dell’arcivescovo emerge, infine, un’immagine di Milano e delle terre ambrosiane assai frammentata. «Frammentazione che è anche una delle caratteristiche della nostra epoca». Recuperando un’immagine offerta dal papa Francesco nell’Evangelii gaudium, quella del poliedro «che è un corpo solidamente unito, anche quando è composto da facce tutte tra loro diverse», Scola ha affermato che «dalla frammentazione non si esce attraverso l’annullamento delle diversità bensì attraverso una ricerca del bene comune che sappia “incorporare” veramente tutti». È un proposta integrale la sua («Penso in proposito all’importanza dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso e interculturale») e quando si domanda dove si può percepire questa capacità unificante di vita sociale, lavoro, cultura e attenzione alle situazioni di fragilità risponde: «Nella vita di chi è disposto a esporre direttamente se stesso per il bene di tutti. Nel linguaggio cristiano questi sono i testimoni».
«La bellezza della fede testimoniata in tutti gli ambienti dell’umana esistenza è il dono più prezioso che i cristiani possono fare ai propri fratelli uomini. Nel pieno rispetto della società plurale, essi intendono offrirlo a tutti, certi di alimentare così quell’amicizia civica che è terreno di coltura del nuovo umanesimo». E conclude rilanciando: «Intendiamo farci promotori, insieme a chi lo vorrà, di luoghi stabili di dialogo e di confronto, che si offrano a tutti come ambiti in cui cercare insieme quel compromesso nobile che rende più ricca e pacifica la vita sociale. Vorremmo proporre un’iniziativa dal titolo Dialoghi di vita buona. Occasioni di ascolto, lavoro e condivisione».