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venerdì 13 settembre 2024
 
 

«Lasciate morire Lambert». Ma Strasburgo blocca tutto

26/06/2014 

Due anni di battaglie giudiziarie e una famiglia divisa. Come la Francia che si è spaccata a metà. Dopo sei anni in stato vegetativo, il Consiglio di Stato francese, il più alto tribunale amministrativo del Paese, il 24 giugno scorso ha deciso che i medici dell’ospedale di Reims, dove si trova in cura dal 2008, potranno lasciar morire Vincent Lambert, 38 anni, ex infermiere tetraplegico rimasto vittima di un incidente stradale. Ma in serata la Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha chiesto al governo di sospendere immediatamente l’applicazione della sentenza vietando di trasferire Lambert dall’ospedale di Reims. Questo per il timore dei genitori che la moglie, favorevole allo stop alle cure, decida il suo trasferimento nel vicino Belgio dove invece l’eutanasia è legale.

La decisione della Corte arriverà probabilmente tra qualche mese. Il  caso Lambert – che ricorda da vicino quello di Eluana Englaro e di Terry Schiavo – oltre alla battaglia giudiziaria ha portato alla luce la profonda spaccatura della famiglia: da un parte la moglie Rachel, favorevole all’interruzione della nutrizione e idratazione per il marito; dall’altra i genitori e il fratellastro, contrari, che hanno presentato ricorso con procedura d’urgenza alla Corte europea dopo che il Consiglio di Stato francese aveva respinto la loro richiesta di mantenere in vita il congiunto e trasferirlo in un ospedale specializzato per la prosecuzione delle cure.

Una “disputa” che è rivelatrice di un dilemma lacerante: quando una vita è degna di essere vissuta? E chi può deciderlo? Un tribunale? E l’amore e la dedizione di due genitori “ostinati” quanto contano? Per Pierre e Viviane Lambert, infatti, il figlio disabile è vivo: reagisce, sbatte gli occhi, piange e sorride. Per i medici si tratta di riflessi automatici, per loro sono segnali di una vita ancora pulsante, irriducibile pur nel dramma di una condizione vegetativa. Poi c’è l’aspetto prettamente giudiziario.

Nella sua sentenza, il consiglio di stato aveva preso in considerazione «la volontà del paziente», che aveva «chiaramente e più volte espresso il desiderio di non essere tenuto in vita artificialmente», come ha dichiarato il vicepresidente del consiglio Jean-Marc Sauvè. Inoltre secondo i medici di Reims «le cure in atto sono di fatto un accanimento terapeutico», pratica vietata dalla legge Leonetti del 2005 la quale, pur non autorizzando l'eutanasia, permette in certi casi che i trattamenti vengano sospesi.

«Se anche lo stato medico più grave, compresa la perdita irreversibile della coscienza, non è sufficiente a giustificare l'interruzione del trattamento - ha detto ancora Sauvè - un'attenzione particolare deve essere data alla volontà del paziente». Una recente perizia medica di tre esperti ha inoltre confermato la prognosi dei medici di Reims e cioè che il paziente si trova in stato di totale incoscienza.

La sentenza della Corte europea, in ogni caso, è un sollievo: perché consente un supplemento di riflessione e di analisi. Fermo restando che l'alimentazione e l'idratazione di una persona che non può farlo in modo autonomo non è terapia, tanto meno accanimento, ma sostegno vitale. Speriamo che almeno questo resti un principio da cui partire per discutere in futuro su ogni normativa che riguardi il fine vita. In Francia ci si accinge a farlo adesso con il governo che ha incaricato lo stesso deputato della destra Ump, Jean Leonetti e il socialista Alain Claeys di presentare entro la fine dell'anno una serie di proposte per rivedere la legge sul fine vita.  

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