Ivan Dalia e Italia’s Got Talent: un ragazzo trentenne alto due metri, con una massa di capelli ribelli, il suo pianoforte, la sua bravura e il suo essere cieco dalla nascita.
Ci ha tenuto a sottolinearlo: cieco, non non-vedente. «Avete mai giocato a mosca non vedente? Avete mai amato nonvedentemente una persona?». L’emozione del palco la combatte così Ivan, con un’autoironia che spiazza tutti, Claudio Bisio, Luciana Littizzetto, Nina Zilli, Frank Matano, Lodovica Comello, il pubblico in sala e a casa.
«Fatemi suonare, basta, che non ce la faccio più!», ha detto a un certo punto e Ivan si è trovato nella sua dimensione, con un brano in cui echi classici e jazz si armonizzavano in un’improvvisazione originale, trascinante.
Ci parla rilassato, con un’inflessione campana che sbuca ovunque: Ivan è nato a Teverola, un comune vicino a Caserta. È cresciuto lì, terzo figlio in una famiglia solida e tradizionale, il padre credente distratto, la madre molto devota.
«I miei genitori mi hanno molto supportato, hanno lavorato tanto con me, imparando non tanto dai libri ma con l’amore e l’intelligenza: la fede ha aiutato molto mia madre, per esempio».
Com’è stata la tua infanzia?
«Da piccolo ero molto arrabbiato, litigavo, facevo a botte. Gli anni delle medie inferiori le ho trascorse in un istituto: puoi immaginare, all’epoca, nel sud Italia… Ragazzi con differenti handicap tutti insieme e il personale che lasciava a desiderare, senza professionalità. Pochi di noi ne sono usciti sani, sono rimasti feriti nell’anima, pochi sono riusciti a digerire l’esperienza. Personalmente ho un rapporto col passato molto buono, mi dimentico spesso cose e sensazioni, è un lavoro su di me che ho cercato di sviluppare nel tempo. Attenzione: non è che l’istituto fosse un riformatorio… però era un posto senza attenzione, sporco, non qualificato: se tu avevi delle esigenze non ti calcolavano».
Quando ti sei detto “voglio diventare un musicista”?
«La musica mi è sempre piaciuta, fin da piccolo, ascoltavo molto la radio, i miei mi regalarono una piccola tastiera e poi a nove anni mio padre mi comprò un piccolo pianoforte a muro e decidemmo insieme di studiare il piano. Fu una decisione di famiglia! Però a nove anni di studiare non avevo molta voglia: a undici mi sono convinto che era quello che volevo fare per sempre e ho iniziato a impegnarmi davvero. Prima con un professore anche lui cieco che mi ha insegnato a leggere la musica in braille, poi ho avuto un insegnante di pianoforte e, a dodici anni, sono entrato in Conservatorio. Per essere ammesso studiai tantissimo: la prima volta non ce la feci. A sedici anni ho iniziato a studiare anche composizione, poi l’ho lasciata ma a settembre concludo. Mi manca solo un esame».
Hai trovato molte difficoltà come non vedente?
«Ho avuto sempre dei problemi, in quanto cieco, su come scrivere la musica. Non c’è nessuno che ti aiuta. Così mi sono sempre arrangiato, a volte da solo, prendevo appunti in braille, oppure c’era un’altra persona che trascriveva. A trent’anni suonati sono riuscito finalmente a trovare il modo di scriverla ‘sta musica. Perché ci sono dei programmi di editing musicali ma per chi non vede è complicato! Ho conosciuto un musicista di Bologna anche lui cieco, mi ha dato delle dritte e i contatti giusti: ho seguito delle lezioni private di informatica con un ragazzo di Firenze, Gianluca Apollaro, un genio pazzoide e ora è un anno che posso anch’io usare il computer. Suono con una tastiera midi collegata al pc, sistemo le note nel miglior modo possibile, trasmetto il file a un trascrittore che lo importa e fa in modo che questi miei dati diventino partitura. Ci tengo a farlo sapere: c’è un gruppo di persone sul web, dall’Australia, dall’America, da ogni parte del mondo, che si occupa dell’accessibilità dei ciechi al computer. Questa cosa mi ha cambiato la vita. Non me l’ha cambiata qualche istituzione o altro, me l’ha cambiata il passaparola: ho passato sei mesi a imparare. Mi sono detto: forse posso migliorare la mia esistenza. Forse la mia vita cambierà, ed è stato vero. James Teh, un australiano non vedente, ha lavorato al programma Osara (Open Source Accessibility for the Reaper Application) per l’accessibilità di un programma open source che si chiama Reaper, per registrare mini audio musicali. Ci sono persone che collaborano e partecipano dandosi una mano a vicenda, ci si parla tra noi, si affrontano i problemi da risolvere. Finalmente posso lavorare seriamente: sono molto contento. Per anni ho improvvisato: suonavo senza partitura, a memoria. Se avessi potuto iniziare a usare il pc come tutti, oggi sarei un compositore come si deve, invece… Certo sono felicissimo di avere il bagaglio che ho ma devo continuare a studiare!».
Sei sempre così autoironico?
«Sono naturalmente così. I miei amici hanno detto: “ma tu non hai fatto niente di nuovo in Tv!”. Non mi faccio delle ossessioni per costruire un personaggio, non devo dar conto a nessuno. Fino a ora ho scelto di essere me stesso, per questo non sono nessuno, sono nell’underground e c’ho anche pochi soldi, però lo preferisco, alla fine essere te stesso è un prezzo molto caro da pagare, perché spesso sei un po’ fuori dalle cose, ma poi stai bene. C’è sempre il doppio lato della medaglia: se fingi alla fine stai male, ti stressi e lo fai solo per beni materiali, parliamoci chiaro. Ti riempi di materia e ci rimetti in spirito…».
Ivan quali sono i tuoi progetti?
«Voglio fare dei concerti, ne ho bisogno, sto cercando qualche manager. Poi, a settembre, ho l’esame di composizione…».