Avrebbe potuto risolversi in una commemorazione lacrimosa, la presentazione alla stampa di Latin Lover, l'ultimo film interpretato da Virna Lisi prima della sua improvvisa morte (il 18 dicembre scorso, nel sonno, a neppure due mesi dalla scoperta di essere affetta da un cancro ai polmoni). Invece la regista Cristina Comencini, le attrici Marisa Paredes, Angela Finocchiaro e Valeria Bruni Tedeschi, il produttore Lionello Cerri, il direttore della fotografia Italo Petriccione, insomma tutte le persone che le erano state accanto sul set, ne hanno parlato con affetto entusiasta. Quasi che lei fosse ancora seduta tra loro, sul palcoscenico del cinema Anteo di Milano, per commentare un film che aveva fortissimamente voluto fare e che porta l'impronta inconfondibile della sua umanità, del suo amore profondo per la famiglia.
Impossibile infatti che la Lisi, calandosi nei panni di una vedova, non abbia recitato pensando al marito, l'architetto Franco Pesci, scomparso appena un anno prima e col quale aveva vissuto 53 anni di matrimonio senza ombre né crisi, malgrado la folgorante bellezza di lei e le tante tentazioni dello star-system a Hollywood.
E' vero infatti che Latin Lover ruota attorno al ricordo della figura di Saverio Crispo (il convincente Francesco Scianna), grande interprete del cinema italiano dei tempi d'oro, divo sullo schermo non meno che sciupafemmine nella vita, figura chiaramente costruita sul mito di star come Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Domenico Modugno.
Ma è altrettanto vero che l'anima profonda della storia sta nella capacità di comprendere, di perdonare, di entrare in empatia che pian piano si manifesta nelle tante protagoniste femminili: mogli, amanti, madri, figlie alle quali tutte Saverio ha donato l'illusione di essere speciali, ciascuna la sola vera donna della sua movimentata esistenza. Mentre ora, a dieci anni dalla scomparsa del mitico maschio, riunite nel paese natale di Saverio per l'immancabile celebrazione, ognuna di loro si rende conto di essere stata una tessera del mosaico, indispensabile sì ma non sufficiente a tratteggiare da sola il complesso degli slanci, delle illusioni, delle insicurezze, in una parola dell'immagine che il pubblico adorante aveva finito per costruire addosso a quell'uomo fortunato.
E sarà solo sputando fuori i rospi tenuti in gola per anni, piangendo e ridendo di dolore, ritrovando il senso profondo di quella pur sbrindellata famiglia allargata che mogli, figlie e nipoti riusciranno finalmente a fare festa attorno a Saverio. L'uomo che senza di loro, forse, non sarebbe arrivato a emergere dall'anonimato. Un meraviglioso signor nessuno. Ed è proprio da Rita, la prima moglie tradita impersonata con cosciente leggerezza da Virna Lisi, che prende l'abbrivio il processo di questa compassionevole “sorellanza”. Perché tutte hanno amato quell'uomo, tutte sono state ferite, ma nessuna di loro è del tutto innocente.
“Ci voleva una grande attrice, anzi una grande donna come Virna per dare credibilità al personaggio”, sottolinea Cristina Comencini al suo secondo film con la Lisi (l'ultima volta che aveva recitato per il cinema era stato, infatti, dodici anni fa proprio con lei sul set de Il più bel giorno della mia vita). “Questo film è molto parlato ed è stato, in realtà, tutto molto scritto, da me e da Giulia Calenda. Virna però ha aggiunto tante piccole cose, ha dato molto di sé alla sua parte. E anche se adesso non è qui con noi, la ringrazio. E poi, in fondo, lei c'è ancora: la vedete lì sullo schermo, col suo inconfondibile sorriso”.
Un'espressione serena e disincantata che accompagna il personaggio di Rita attraverso gli innumerevoli colpi di scena di una storia che, sulle prime, riecheggia i toni di Donne sull'orlo di una crisi di nervi di Almodòvar per poi passare alle atmosfere complici di Speriamo che sia femmina di Monicelli e infine virare sulle forti emozioni del cuore alla Ozpetek, quello de Le fate ignoranti o anche di Mine vaganti. Insomma, un film che pur trattando un tema delicato e quanto mai accidentato (la famiglia allargata, anzi addirittura “intercontinentale”, come dice ridendo una delle protagoniste) riesce a farlo senza cadere in volgarità e luoghi comuni. Risolvendosi, anzi, in un inno ai valori familiari da salvare, sempre e comunque.
“Da spettatrice, prima ancora che regista, ho sempre proiettato su Virna attrice l'immagine della madre italiana: impastata di dolore, di verità e di risate”, commenta la Comencini. “Lei, ormai, era arrivata a essere molto serena con sé stessa. L'ultima scena col suo monologo verità nel salotto, davanti all'altra moglie e alle tante figlie, le era però particolarmente piaciuta. Quell'unità femminile dopo gli antagonismi era qualcosa più di una sorellanza. Una sensazione di vera complicità. Quasi un testamento umano, prima ancora che spirituale”. Le parole non fanno in tempo a riecheggiare dal microfono che un velo di commozione si stende, lieve, sulle espressioni dei presenti. Attori, tecnici, artisti, giornalisti: tutti restano assorti nel ripensare a Virna Lisi, a quella bocca meravigliosa segnata da un neo malizioso con cui “può dire ciò che vuole”, come recitava una celeberrima pubblicità degli anni Sessanta.
E' Marisa Paredes, quasi sua coetanea, attrice spagnola di tanti film di Almodòvar (qui l'altra moglie ufficiale del divo scomparso), che riporta tutti alla realtà con uno smagliante sorriso: “Lavorare con Virna è stata un'esperienza straordinaria”.