È tornata sul piccolo schermo al fianco di Gigi Proietti, il cronista di nera Bruno Palmieri, nella seconda stagione della fiction di Rai 1 Una pallottola nel cuore, quattro film Tv tra il giallo e la commedia diretti da Luca Manfredi.
L’hanno definita intensa, passionale, enigmatica. Ma anche di raro garbo e fascino, mai banale. Licia Maglietta è in perfetta simbiosi con i personaggi cui dà vita, profondamente veri nella finzione. I suoi seminari sul teatro all’Università di Firenze sono seguitissimi e lei, memorabile interprete del film cult Pane e tulipani e di lavori teatrali di successo, recupera il senso dell’essere attori.
Chi è Paola, il suo nuovo personaggio?
«È una donna forte, autonoma, che cresce una figlia da sola. La sua è la storia vera di tutte quelle donne che tra mille difficoltà di vita e di lavoro crescono i propri figli e poi vengono sistematicamente accusate di non averlo fatto bene».
Come è stato lavorare a fianco di Gigi Proietti?
«È un grande signore, di eccezionale bravura e tecnica, che riesce sempre a trovare una battuta o un sorriso anche quando è stanco. La fiction già dalla scrittura nasce intorno al suo personaggio, così come le battute».
Come si spiega il successo di questa serie?
«È merito di Gigi, assolutamente. Lui è amato da tutti gli strati sociali: dagli intellettuali alla fascia più popolare. È una cosa che si portano dietro questi ultimi grandissimi attori, come erano Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi».
Dalla laurea in Architettura al mestiere di attrice come è arrivata?
«Quando mi sono laureata già facevo spettacoli teatrali in giro per il mondo con il gruppo Falso Movimento, con Mario Martone. L’architettura è una delle mie grandi passioni: ho sempre disegnato e curato le scenografie, disegno anche i costumi, dipingo; quando metto in scena lo spettacolo c’è già una visione dello spazio. I miei maestri sono Peter Brook e Carlo Cecchi. Ma non servono grandi scenografie nel teatro, che appartiene a un’altra sfera: quella dell’immaginazione».
Cosa le piace più di tutto del suo mestiere di attrice?
«Dubitare e mettermi sempre in discussione, cose fondamentali per creare, e la continua scoperta del rapporto con gli altri e perfino con gli oggetti. Oggi il mestiere di attore è cambiato, il cinema è cambiato. Ci sono meno soldi e, in relazione, meno tempo. E il tempo è fondamentale per l’arte. Non so che attrice sarei stata se avessi fatto solo cinema: tutto il mio tempo sta in uno spazio a provare continuamente. Quando si ripetono le scene per due o tre mesi, anche quello che poi butti resta in memoria e contribuisce a costruire il personaggio. Con il grande Silvio Soldini questo lavoro si faceva, e si faceva insieme con i truccatori, i costumisti, gli sceneggiatori. Oggi hanno deciso di distruggere l’arte e la cultura, e senza cultura la società è barbarie».
Il suo monologo in “Delirio amoroso”, nel 1995, nacque dall’incontro con la poetessa Alda Merini. Quale ricordo ha di lei?
«Mi schiaffeggiava la mente. Era una donna distrutta dalla malattia, dalla vita, dire tormentata è poco, ma al contempo di una forza infinita, e questa forza gliela dava la poesia: trasformava la sua parte distruttiva in qualcosa di meraviglioso. È un ricordo sacro per me».
Oggi che donna si sente, a parte essere riservata?
«Ironica, timida lo sono stata per gran parte della mia vita. Secondo gli anziani, a un certo punto della vita si dice quello che si pensa perché non si ha più nulla da perdere. E ho ancora gli stessi amici delle elementari, del liceo, dell’università».
È vero che a casa sua non ha il televisore?
«Sì, è vero. Da sempre. E adesso con le nuove regole devo compilare l’autocertificazione per non trovarmi il canone da pagare nella bolletta dell’elettricità. Con le mie due figlie abbiamo occupato quel tempo guardando i film che ci piacevano in videocassetta o disegnando o scrivendo. La televisione non era un tabù: potevano andare a vederla dal padre, dagli amici o dalla nonna. I luoghi che più amo sono sempre state le librerie, le biblioteche, dove regna il silenzio, dove vai per cercare delle cose e finisci per imbatterti casualmente in altre».
Lei non partecipa alle conferenze stampa. Perché?
«Mi è capitato di dire delle cose e poi è uscito tutt’altro. Ho visto pure interviste che non ho mai rilasciato. Anni fa ho chiuso e oggi parlo solo con due o tre giornalisti».