«Laudato si’ mi signore per sora nostra madre terra», cantava Francesco. Terra, «casa comune», ricorda papa Bergoglio, che «è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia». In tutto 192 pagine, sei capitoli, 246 paragrafi e due preghiere per chiedere, con la sua seconda enciclica, «che tipo di mondo vogliamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo».
Papa Francesco non parte da zero. Riprende le parole dei suoi predecessori e il grido di allarme che da tempo mette in guardia dallo sfruttamento inconsiderato delle risorse, da una politica miope che guarda al successo immediato senza prospettive a lungo termine, dall’egoismo delle società consumistiche che stentano a cambiare i propri stili di vita. Ricorda che la cura del creato è impegno di tutti, credenti e non credenti. E rilancia anche l’impegno ecumenico citando ampiamente, sul tema ambientale, il patriarca Bartolomeo.
Dopo un ampio sguardo d’insieme e l’appello a «rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta», papa Francesco analizza, nel primo capitolo Quello che sta accadendo alla nostra casa. Lo fa servendosi delle più recenti acquisizioni scientifiche in materia ambientale e affrontando temi concreti.
I mutamenti climatici
«I cambiamenti climatici sono un problema globale
con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e
politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per
l’umanità», scrive Jorge Mario Bergoglio al numero 25. Se «il clima è un bene comune, di tutti
e per tutti», l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui
più poveri, ma molti «che detengono più risorse e potere economico o
politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o
nasconderne i sintomi». Il Papa denuncia «la mancanza di reazioni di
fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle» come «segno della
perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si
fonda ogni società civile».
La questione dell'acqua
«L’accesso
all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e
universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per
questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Privare i
poveri dell’accesso all’acqua significa negare «il diritto alla vita
radicato nella loro inalienabile dignità».
La tutela della biodiversità
«Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e
animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno
vedere, perse per sempre». Non sono solo eventuali “risorse”
sfruttabili, ma hanno un valore in sé stesse.
Il debito ecologico del Nord rispetto al Sud
Il Papa denuncia la «debolezza delle reazioni» di
fronte ai drammi di tante persone e popolazioni. Nonostante non manchino
esempi positivi c’è «un certo intorpidimento e una spensierata
irresponsabilità». Mancano una cultura adeguata e la disponibilità a
cambiare stili di vita, produzione e consumo.
Occorre un'ecologia integrale
Nel secondo capitolo Il
Vangelo della creazione, il Papa rilegge i racconti biblici e dà una
visione complessiva della tradizione ebraico-cristiana spiegando il
perché della «tremenda responsabilità» dell’essere umano nei confronti
del creato. L’essere umano ha il compito di «“coltivare e custodire” il
giardino del mondo (cfr Gen 2,15)», sapendo che «lo scopo finale delle
altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e
attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio».
Nel terzo
capitolo La radice umana della crisi ecologica, il Papa va alle cause
profonde del degrado. La denuncia è soprattutto per la logica «usa e
getta» che genera la cultura dello scarto. Le competenze tecniche,
scrive il Papa danno a «coloro che detengono la conoscenza e soprattutto
il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante
sull’insieme del genere umano e del mondo intero». Sono proprio le
logiche di dominio tecnocratico che portano a distruggere la natura e a
sfruttare le persone e le popolazioni più deboli. «Il paradigma
tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e
sulla politica», impedendo di riconoscere che «il mercato da solo non
garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale». Ne
deriva la logica che «porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli
anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del
mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani, il
commercio di pelli di animali in via di estinzione e di “diamanti
insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di
organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non
corrispondono ai progetti dei genitori».
Il Papa parla della dignità del
lavoro e della centralità della persona spiegando che «rinunciare ad
investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un
pessimo affare per la società». E poi riprende il dibattito sugli ogm
che sono «una questione di carattere complesso». Bergoglio scrive che,
sebbene «in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita
economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano
significative difficoltà che non devono essere minimizzate», a partire
dalla «concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi».
Papa
Francesco pensa in particolare ai piccoli produttori e ai lavoratori
rurali, alla biodiversità, alla rete di ecosistemi. È quindi necessario
«un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in
grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le
cose con il loro nome» a partire da «linee di ricerca autonoma e
interdisciplinare».
E ancora, nel quarto capitolo, Un’ecologia
integrale, si affronta il tema della giustizia e della politica. Il
Papap parla di ecologia delle istituzioni: «Se tutto è in relazione,
anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta
conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: “Ogni
lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni
ambientali”». Il Papa ribadisce che «l’analisi dei problemi ambientali è
inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi,
urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa».
«Non ci
sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una
sola e complessa crisi socio-ambientale». Questa ecologia integrale «è
inseparabile dalla nozione di bene comune». Nel contesto di oggi, in cui
«si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone
che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali»,
impegnarsi per il bene comune significa fare scelte solidali sulla base
di «una opzione preferenziale per i più poveri».
Che fare? Alcune linee d'azione
Nel capitolo quinto,
Bergoglio offre Alcune linee di orientamento e di azione. Non solo
denuncia, ma la domanda su cosa è possibile fare per «uscire dalla
spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando». La Chiesa non
pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla
politica, ma il Papa invito «ad un dibattito onesto e trasparente,
perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene
comune». Il giudizio è severo: «I Vertici mondiali sull’ambiente degli
ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di
decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali
realmente significativi ed efficaci». Il Papa si chiede «perché si vuole
mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di
intervenire quando era urgente e necessario farlo?». Serve una
governante mondiale: «abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di
governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali», visto
che «“la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla
base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di
quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o
di promuovere adeguatamente”», scrive riprendendo le parole del
Compendio della dottrina sociale della Chiesa).
Sempre in questo
capitolo, Papa Francesco insiste sullo sviluppo di processi decisionali
onesti e trasparenti, per poter «discernere» quali politiche e
iniziative imprenditoriali potranno portare «ad un vero sviluppo
integrale». In particolare, lo studio dell’impatto ambientale di un
nuovo progetto «richiede processi politici trasparenti e sottoposti al
dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di
un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che
sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito».
Particolarmente incisivo è l’appello rivolto a chi ricopre incarichi
politici, affinché si sottragga «alla logica efficientista e
“immediatista”» oggi dominante: «se avrà il coraggio di farlo, potrà
nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e
lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di
generosa responsabilità».
Infine, il sesto capitolo, Educazione e spiritualità ecologica,
perché «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino
educativo». Sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la
scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi». La
partenza è «puntare su un altro stile di vita», che apre anche la
possibilità di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il
potere politico, economico e sociale». È ciò che accade quando le
scelte dei consumatori riescono a «modificare il comportamento delle
imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di
produzione». Non si può sottovalutare l’importanza di percorsi di
educazione ambientale capaci di incidere su gesti e abitudini
quotidiane, dalla riduzione del consumo di acqua, alla raccolta
differenziata dei rifiuti fino a «spegnere le luci inutili».