«La vita non fa per me». Chissà quante volte abbiamo pronunciato, o anche solo pensato, nel segreto del cuore, una cosa del genere. Succede quando la vita picchia duro: un lutto improvviso, il dolore innocente di un bimbo, l'agonia interminabile di una malattia. Laura (nome di fantasia), 24 anni, fiamminga, lo ha detto ai suoi medici e i medici le hanno dato il via libera per l'eutanasia. Entro l'estate, in una data ancora da stabilire, potrà morire.
Lo consente la legge belga sul fine vita, approvata nel 2002, secondo la quale il paziente può chiedere l'eutanasia anche in caso di “sofferenze psichiche insopportabili”. Laura, infatti, non ha una malattia fisica incurabile, ha molte passioni, ama la fotografia e il teatro. La diagnosi è depressione, persistenti idee autolesive, tendenza al suicidio manifestate fin da piccola. Laura, intervistata dal giornale fiammingo De Morgen che ha raccontato la sua storia, ha avuto un'infanzia difficile, di dolore e solitudine.
Il padre, alcolista e violento, ha spaccato la famiglia fin da quando lei era piccola. Dopo la separazione dei genitori, ha passato sempre più tempo con i nonni materni, anche se a soli sei anni afferma di aver cominciato a pensare al suicidio. Per tre anni è stata in istituto. Nell'intervista afferma che i suo genitori l'abbiano avuta quando erano troppo giovani e anche se i suoi nonni le hanno dato «sicurezza, pace e stabilità», non è bastato. «Anche se la mia infanzia ha certamente contribuito alla mia sofferenza», ha detto, «sono convinta che avrei avuto questo desiderio di morte, anche se fossi cresciuta con una famiglia stabile e tranquilla».
La ragazza ora da alcuni giorni a settimana in un piccolo appartamento, ma dai 21 anni ha chiesto volontariamente di essere internata, un tentativo di guarire da una sofferenza interiore che le ha già fatto infliggersi automutilazioni e tentativi di suicidio. «La mia vita è una lotta quotidiana sin dalla nascita, certi giorni mi trascino letteralmente di secondo in secondo, i miei 24 anni sono stati un'eternità». Un'eternità cui ha comunque potuto essere anche felice: «Un grande amore». Poi finito, anche questo, per il suo malessere.
In clinica le cure non sortiscono alcun effetto. Ad un certo punto, Laura incontra Sarah (nome di fantasia), che stava organizzando la propria eutanasia. Affascinata da quel tentativo, comincia a pensare di usare questo strumento per morire. Tre diversi medici, di cui uno appartenente a una famosa associazione pro eutanasia, le danno ragione: dal punto di vista psicologico, soffre in modo insopportabile e quindi deve poter morire se lo vuole. Per quanto riguarda la capacità di prendere una simile decisione, nessun dubbio: «È una persona equilibrata».
Ora Laura sta organizzando (sì, proprio così) il suo funerale e le ultime parole da dire alla madre e alla nonna che l'ha allevata. «I miei amici e la mia famiglia hanno capito», ha detto, «conoscono la mia storia e sanno che è la soluzione migliore per me». Di fronte a un dramma così, nessun giudizio è umanamente possibile. L'opinione pubblica belga si è spaccata. Come il caso di Laura, ce ne sono in Belgio circa 50 l'anno, pari al 3% di tutte le eutanasie effettuate nel Paese, che lo scorso anno ha legalizzato anche l'eutanasia per i bambini. «L'eutanasia resta una decisione violenta, e ogni giorno – ha ammesso la ragazza - mi chiedo: lo voglio veramente?».
Un rovello interiore nel quale, forse, Laura è stata lasciata da sola, abbandonata, a trovare da sé risposte che non è in grado di trovare. «Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni crematori, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così!». Sono le parole di una giovane donna ebrea olandese, Etty (Ester) Hillesum. Morirà a 29 anni nel lager nazista di Auschwitz. Annota il suo “diario” tra i fogli sgualciti di un taccuino e il suo sguardo non si smarrisce nell'abisso oscuro del male che la avvolge.