La dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente – due temi fondamentali del magistero di papa Francesco – a Taranto sono due facce della stessa dolorosa medaglia. Quando marciava a pieno ritmo, l’Ilva e il suo indotto valevano il 70 per cento del Pil provinciale. Fino al 2008, il gigante siderurgico più grande d’Europa produceva 9 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Dai 20mila addetti del 1980 oggi sono rimasti circa 12mila. Mons. Filippo Santoro, 66 anni, barese d’origine, per ventisette anni e mezzo in Brasile dove è stato prima vescovo ausiliare di Rio de Janeiro e poi a capo della diocesi di Petropolis, era arrivato a Taranto da circa sei mesi quando la magistratura, il 26 luglio 2012, sequestrava gli impianti provocando una sommossa popolare. Accusa: disastro ambientale. Da allora molto è cambiato. La fabbrica continua a produrre ma un terzo dei dipendenti resta a casa a turno, molti fornitori hanno dovuto chiudere e nell’indotto hanno perso il posto in migliaia. Al referendum del 2013 per decidere la chiusura dello stabilimento è andato a votare il 19 per cento dei tarantini, solo il 9 nel rione Tamburi, il più colpito dall’inquinamento. Riassumendo brutalmente, il motto di tanti che all’Ilva ci lavorano è questo: “Non vogliamo morire di cancro ma neppure di fame”.
«La cura della “casa comune”, come ha scritto il Papa nell’enciclica Laudato si’, è un tema molto sentito nell’America Latina dove il grido che viene dalla terra violata si unisce a quello dei poveri», spiega l’Arcivescovo che da un mese è anche responsabile nazionale della Cei per il lavoro e la custodia del Creato, «queste due grida a Taranto le sentiamo ogni giorno, da un lato, nella forma di un ambiente ferito da un’industrializzazione selvaggia e scatenata che per anni ha ignorato l’agricoltura, il turismo, la bellezza della terra e, dall’altro, nel dramma umano della gente».
- Eccellenza, che significato ha per voi quest’enciclica?
«Ci dà grande conforto perché siamo di fronte ad un messaggio provocato dalla realtà in cui versano molti parti della terra. Tra queste c’è anche la nostra città. L’enciclica ci suggerisce di tenere in conto il debito ecologico verso Taranto e coniugare il problema ambientale con quello sociale. Ma soprattutto, partendo dal grido del Papa su ambiente e lavoro, ci spinge d’ora in poi a esigere che i fatti accadano e che non ci siano solo promesse».
- Sull’Ilva cosa ha fatto la Chiesa finora?
« Il 7 novembre 2013 abbiamo messo insieme attorno a un tavolo per la prima volta le parti in causa che si ignoravano tra di loro: ambientalisti, governo, società civile, sindacati e persino la magistratura. Favorire il dialogo è il primo passo ed è quello che sto facendo».
- Basta?
«No, perché bisogna dare risposte concrete. Il secondo passo è utilizzare al più presto i fondi disponibili per l’adeguamento ambientale degli impianti. Il gip di Milano ha sbloccato la richiesta di fondi sequestrati ai Riva (proprietari dell’Ilva, ndr): si tratta di un miliardo e 200 milioni di euro. Si cominci a fare qualcosa. Se c’è un decreto del Governo, occorre un intervento decisivo. Non risolverà la questione ambientale ma è il primo passo necessario nella direzione giusta».
- Questione ambientale e sociale nel magistero di Bergoglio vanno di pari passo.
«Il Papa ci suggerisce la ricerca di soluzioni alternative, il rifiuto del paradigma tecnocratico come se questo fosse l’unico modo di risolvere la questione e una diversificazione nella produzione. Quindi un ripensamento del modello di sviluppo. Il vero umanesimo non può prescindere da un’attenzione all’ambiente e nella nostra terra ci sono quattro emergenze: i depositi di Tempa Rossa (il giacimento petrolifero della Basilicata la cui base logistica è prevista a Taranto all'interno della raffineria Eni, ndr) che verrebbero a perturbare una situazione già abbastanza ferita, le trivellazioni per cercare petrolio nel mare Adriatico e Jonio, la grande minaccia della Xylella che ha colpito gli ulivi e l’approdo a San Foca del gasdotto Tap».
- Che altri problemi ha Taranto?
«Il porto sta morendo, molte industrie come la Evergreen preferiscono altri luoghi per le loro attività. E poi c’è il recupero della Città Vecchia, straordinaria e bellissima, tra i due mari, il mar Piccolo e il mar grande, e che è stata abbandonata. Per questo abbiamo deciso la valorizzazione dell’Episcopio, del Museo diocesano che è un palazzo del ‘500 e dell’Istituto superiore di Scienze religiose e un progetto avviato un anno fa di costruire un centro notturno di accoglienza per senzatetto e profughi accanto alla casa del vescovo. La rinascita di Taranto avviene in uno sguardo globale e trovandoci di fronte alla fragilità della politica ci siamo detti di non piangere ma di rimboccarci le maniche e iniziare a fare qualcosa»
- Da un mese è responsabile della Cei per il lavoro. Sul suo tavolo quali sono i dossier più spinosi?
«Tanti, a cominciare dal livello altissimo di disoccupazione. Siamo intorno al 40%. Se poi parliamo di disoccupazione giovanile in Puglia andiamo oltre il 50%. Ci sono cose pregevoli come il Progetto Policoro che va rafforzato ancora di più».
- A Milano è stato istituito il Fondo Famiglia-Lavoro. Non potrebbe essere esteso a tutte le diocesi d’Italia?
«Può essere, sono attentissimo a tutte le buone pratiche che già ci sono. L’obiettivo è di metterci in rete come chiesa italiana per offrire soluzioni concrete a situazioni reali di disagio».
- Tornando da una realtà complessa come il Brasile si aspettava di trovare una situazione simile in Italia?
«Lì c’è il problema dell’Amazzonia, delle grandi metropoli, delle favelas. Non dico che qui i problemi siano più gravi ma ciò che li rende ancor più aggrovigliati è la mancanza di collaborazione tra le istituzioni. Lì c’è un senso immediato di ccooperazione e solidarietà tra le persone, soprattutto tra i più poveri. Quando nel 2011 c’è stata un’alluvione terribile, dopo due mesi nella mio diocesi di Petropolis abbiamo messo su un’associazione ad hoc per far dialogare i parenti delle vittime con le autorità. Ho convocato il Governatore e il ministro dell’ambiente. Era più semplice metterli insieme, qui stiamo lavorando in questo senso. La cosa più bella che ho imparato dal Brasile è che la credibilità di noi pastori si gioca sulla vicinanza ai problemi della gente».
- Ha invitato il Papa a Taranto?
«Certo, gli ho proposto di venire a presentare l’enciclica».
- E la risposta?
«“Conosco bene la situazione e prego per voi. Sarebbe bello ma mi chiamano da tutte le parti”, ha detto. Il suo desiderio è forte, speriamo di riuscire a realizzarlo presto».