In Italia, il 10,5% dei
lavoratori, cioè 2 milioni e 300 mila, sono stranieri. Al primo
posto i romeni (oltre 600mila), seguiti nell’ordine da albanesi
(293 mila), marocchini (153 mila), ucraini (144 mila), filippini
(142 mila) e moldavi (95 mila). Sono in prevalenza lavoratori giovani
rispetto ai colleghi italiani: quasi due terzi ha un’età compresa
tra i 25 e i 44 anni, contro il 49% degli italiani.
Ma la crisi economica
come si è avvertita per nazionalità? Prova a rispondere lo studio
“Crisi economica e lavoro. Stranieri vs italiani” della
Fondazione Leone Moressa di Mestre. Innanzitutto, i ricercatori
precisano: «Dai dati 2007-2013 degli occupati sembra che a
risentirne maggiormente siano stati gli italiani, visto che i
lavoratori sono diminuiti del 7%, mentre gli stranieri sono aumentati
del 60%. Ma in realtà i numeri assoluti sono fuorvianti. In altre
parole, il numero assoluto degli occupati è cresciuto semplicemente
perché sono aumentati gli stranieri in Italia».
In realtà, la
crisi sembra colpire maggiormente la componente straniera: nel
2007-2012, il loro tasso occupazionale è sceso di sei punti
percentuale, contro l’1,8% degli italiani; nei primi nove mesi del
2013, la diminuzione è del 2,3% (1,1% quello degli italiani).
Che lavoro fanno?
Ciascuno può accorgersene facilmente pensando alle proprie famiglie
e alle nostre città, ma i dati certificano che gli occupati
stranieri si concentrano in tre settori specifici: il 29% nei servizi
alle persone (pulizie, baby-sitter, badanti, lavanderie, parrucchieri
e estetiste), il 18% si colloca nell’industria ed il 14% nelle
costruzioni. Del resto, un rapporto annuale pubblicato lo scorso anno
dal Ministero del Lavoro parlava addirittura di «segregazione
professionale».
E gli italiani invece? La percentuale più alta si
registra nell’istruzione, nella sanità e nella pubblica
amministrazione (22%), ma fanno decisamente lavori più
diversificati: il 64% degli stranieri occupati si colloca nelle prime
dieci professioni contro il 34% degli italiani. Gli stranieri spesso
svolgono professioni sottodimensionate rispetto alla propria
istruzione, come sanno gli anziani che magari hanno una badante
dell’Est Europa laureata.
Infatti, solo il 5,6% occupa posizioni
lavorative di un certo livello (contro il 38% degli italiani) e il
36% si concentra nelle professioni non qualificate. Tra le prime
dieci professioni degli italiani, troviamo profili medio alti
(impiegati, tecnici della salute, professori e tecnici in campo
ingegneristico), mentre gli stranieri si concentrano nei lavori meno
qualificanti.
L’assistenza domestica è quella più “gettonata”:
occupa il 15,4% degli stranieri, a cui non viene richiesta alcuna
particolare qualifica professionale. La specializzazione degli
stranieri viene invece ricercata in particolari mansioni dei servizi
personali (11,4%, per esempio nell’assistenza di anziani con
malattie gravi), nelle costruzioni (8,2%; come muratori, carpentieri,
falegnami, ponteggiatori, pavimentatori stradali…). Seguono poi le
attività della ristorazione (6,6%), il personale non qualificato nei
servizi di pulizia (6,6%) e facchini o addetti alle consegne (5,0%);
con percentuali inferiori, autisti di veicoli a motore (furgoni,
camion), occupati nelle rifiniture edili (tetti, pavimenti ed
intonaci), lavoratori non qualificati nell’agricoltura e addetti
alle vendite.
E la crisi come sta
cambiando il mercato del lavoro per gli stranieri? Oltre a colpirli
fortemente, li indirizza verso i settori che resistono alla crisi:
dal 2007 ad oggi, è aumentato del 9% (400mila persone) la
percentuale degli addetti nei servizi alla persona, mentre il 5% in
meno lavora nell’industria e il 4% nelle costruzioni.
Crescono
anche gli occupati stranieri nei servizi turistici, nei magazzini e i
braccianti agricoli; stabili gli addetti alle vendite, alla
ristorazione, i saldatori, i lattonieri e gli artigiani addetti alle
rifiniture delle costruzioni (pittori, piastrellisti, elettricisti ed
idraulici).
In generale, tra gli stranieri diminuiscono le
professioni più elevate, i piccoli imprenditori, gli artigiani e gli
operai specializzati, mentre aumentano quelle non qualificate. Conseguenze? Grazie alla
tenuta del suo settore di riferimento, resiste l’occupazione
femminile e – spiegano i ricercatori della Fondazione Moressa - «la
crisi è avvertita meno nelle nazionalità che lavorano nei servizi
alla famiglia e di più nelle nazionalità più legate all’industria
e all’edilizia (albanesi e marocchini)».
Soffrono meno i
filippini, con il 76,7% dei lavoratori occupati
nella cura delle persone e nelle pulizie, gli ucraini (oltre
il 70%) e i moldavi (oltre il 50%). Infine, un dato sulle
buste paga: differenza di professioni e aumento della manodopera non
specializzata si traduce nel gap
salariale con i colleghi italiani. Ebbene
sì, gli stipendi medi degli stranieri sono più bassi di 344 euro
rispetto agli italiani, 958 euro contro 1302.
Ma anche qui si scorgono gli effetti della crisi: quattro anni fa, la
differenza era di “soli” 285 euro al mese.