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giovedì 03 ottobre 2024
 
 

Lavoro, la festa è finita

30/04/2013  Un milione di famiglie vive senza un reddito proveniente da un'occupazione. Che senso ha, oggi, celebrare il primo maggio?

La buona notizia (una delle poche), potrebbe essere la ritrovata unità, dopo anni di divisioni. Per il resto, non c’è molto da festeggiare. L’Italia sta vivendo uno dei suoi peggiori momenti dal punto di vista occupazionale. Gli ultimi dati parlano di una disoccupazione media che si attesta sull’11% (quella giovanile è al 37%).   Il primo maggio Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti parleranno dal palco di piazza IV novembre, a Perugia. L’Umbria è uno dei tanti simboli della crisi: la Regione delle 100 vertenze, dei 28 mila posti di lavoro persi in pochi mesi. E il simbolo dei simboli è rappresentato dalle acciaierie di Terni, di cui ancora non si conosce la sorte. Il modello Umbria non gira più.

Il leader della Cgil Susanna Camusso ha lanciato l’allarme dei finanziamenti della cassa d’integrazione in deroga
(almeno un altro miliardo). Per Raffaele Bonanni quel miliardo si può trovare tagliando alcuni sprechi, a cominciare dai costi della politica e delle istituzioni “irrilevanti”. Ma la partita sulla Cig è solo una delle battaglie unitarie che i sindacati sono tornati a giocare in un momento di stallo economico del Paese. Le lacerazioni degli ultimi anni non hanno certo aiutato l’Azienda Italia sul piano occupazionale e del rilancio industriale.

Un nuovo patto tra confederazioni, da estendere successivamente agli imprenditori, potrebbe aiutare non poco questo Paese. I sindacati e Confindustria ci stanno già lavorando. L’annuncio potrebbe essere dato proprio in occasione del primo maggio, e non solo sul piano delle relazioni industriali, ma anche su fisco, riforme istituzionali e infrastrutture. E non dimentichiamo che sullo sfondo resta il rinnovo del contratto per cinque milioni di lavoratori.

Francesco Anfossi

Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, sarà a Perugia domani, 1° maggio. Perché la scelta è caduta proprio sul capoluogo umbro? «È un 1° maggio amaro per molti lavoratori e tante famiglie esauste, che devono fare i conti ogni giorno con una crisi di cui non si intravede ancora, purtroppo, l’uscita. Ma domani sarà anche una giornata di lotta e di speranza. Il sindacato ha scelto unitariamente Perugia come sede della manifestazione nazionale non solo per ricordare il dramma delle due lavoratrici della Regione uccise mentre facevano il loro dovere in ufficio. Perugia e l’Umbria, infatti, sono in questo 1° maggio il simbolo della disperazione del lavoro, della costante deindustrializzazione del Paese, della crisi di un modello economico formato da tante piccole e medie imprese che rischiano di chiudere i battenti per sempre».

Da dove si deve ripartire?

«Abbiamo apprezzato il discorso fiducioso e l’appello del nuovo presidente del Consiglio, Enrico Letta: il Paese ha bisogno di maggiore coesione sociale e della collaborazione di tutti, superando le sterili contrapposizioni politiche dell’ultimo ventennio. Di fronte alla drammaticità della crisi occupazionale occorre aprire il confronto per un vero patto per la crescita, in cui tutti facciano la propria parte per rilanciare gli investimenti: governo centrale, regioni, imprese, sindacati, banche. Questo sarà il messaggio pacifico ma forte che il sindacato lancerà in tante piazze italiane. Uniti si vince, divisi si perde».

Quali sono le prime cose da fare?
«Occorrono urgentemente interventi di sostegno per i lavoratori che rischiano il licenziamento. Ecco perché il primo provvedimento che il nuovo Governo Letta dovrà assumere è rifinanziare la cassa integrazione in deroga e dare garanzie anche a migliaia di esodati senza salario e senza pensione. Bisogna dare, inoltre, risposte concrete ai tanti precari della pubblica amministrazione e della scuola che rischiano di rimanere a casa. Per questo abbiamo protestato davanti al Parlamento nei giorni scorsi e protesteremo ancora, nelle prossime settimane, in tutte le regioni. Ma noi non chiediamo solo assistenza. Vogliamo una svolta nella politica economica, un “new deal” che possa far crescere salari, pensioni e consumi delle famiglie».

Sarà difficile senza interventi forti. Cosa suggerite al Governo?
«Non ci sono scorciatoie: occorre ridurre le tasse ai lavoratori, ai pensionati, ma anche alle imprese che investiranno e assumeranno i disoccupati. È importante che lo abbia riconosciuto anche il presidente Letta perché questa rimane la strada per dare ossigeno all’economia. La riduzione delle tasse è una misura che si autofinanzia perché ci saranno nuove entrate fiscali con la ripresa dei consumi e della spesa delle famiglie. Se invece si lasciano le cose come stanno, avremo un aumento ulteriore delle povertà e delle disuguaglianze sociali». 

In queste ore, intanto, tiene banco la questione dell’Imu. Cosa ne pensa la Cisl?
«È giusto eliminare un’imposta odiosa come l’Imu, ma a chi ha una sola casa. E occorre anche colpire penalmente l’evasione fiscale, premiare con maggiori sgravi chi assumerà i giovani precari e soprattutto le donne. La nuova occupazione verrà solo da una buona economia e dalla capacità di favorire lo sviluppo. È fondamentale, per esempio, sbloccare con un decreto tutti quei progetti di opere pubbliche fermi da anni per i veti incrociati degli enti locali, delle lobbies e anche della magistratura. Parliamo di energia pulita, trasporti, strade, inceneritori, opere di bonifica del territorio».

Non crede che questo Governo sia “debole” per portare a termine questi vostri suggerimenti?

«Anche le regioni e gli enti locali possono fare di più per aiutare le aziende in crisi. Possono dimezzare le tasse locali e i costi dell’energia, facendo funzionare meglio i servizi. Invece è tutto fermo, immobile. Il Paese ha bisogno di una “frustata”, di ridurre i livelli amministrativi e istituzionali e gli sprechi di una spesa pubblica improduttiva, perché non c’è un prima e un dopo: lavoro, tasse più basse e riforme istituzionali devono arrivare insieme. Quanto a noi, raccoglieremo migliaia di firme per obbligare il Parlamento a rivedere il Titolo quinto della Costituzione. Ci aspettiamo questo impegno dal Governo Letta e da tutte le forze politiche».

Il sindacato resta in attesa, dunque, di vedere quello che farà il Governo?
«Ora noi aspettiamo i fatti. Ci vuole una politica industriale orientata dallo Stato all’innovazione tecnologica e di prodotto, alla green economy, alla ricerca, alle nuove infrastrutture, alle reti digitali. Il sindacato, per quanto ci riguarda, sa cosa deve fare per assumersi le sue responsabilità. Abbiamo raggiunto proprio oggi un accordo storico sulle regole della rappresentanza in tutti i posti di lavoro. Siamo pronti a negoziare con le imprese nuove intese sulla produttività per aumentare i salari grazie alla forte detassazione. Ma non abbasseremo la guardia. Ecco perché da Perugia e da tutte le città italiane, in occasione del 1° maggio, rivolgeremo il nostro appello alla classe dirigente italiana affinché trovi la forza per imprimere quella svolta profonda che da tempo reclamano le forze sociali e l’interesse generale del Paese».

Manuel Gandin

A Cosenza il 1° maggio si festeggia eccome. Perché il sud è epicentro di una crisi nella crisi. "In Italia il tema del lavoro ha perso centralità, nel Mezzogiorno e quasi uscito dal radar. Festeggiare ha senso per ricordare a tutti questo dato". Non è una difesa d’ufficio quella di Elena Lattuada, segretario confederale della Cgil, che dal centro calabrese guiderà la più importante manifestazione sindacale del Mezzogiorno. A giustificare la necessità, quasi l'obbligo della “festa”, sono le cifre. In Italia  tra il 1977 e il 2012 i disoccupati sono cresciuto da 1,4 milioni a 2,7. Ma a pagare di più è stato il Mezzogiorno: in 35 anni il tasso di disoccupazione è raddoppiato, dal 6,4% al 10,7%.


- Cifre impietose. Eppure di lavoro si parla tanto…

"Sul tema esiste una nebulosa di discorsi che nascondono una rimozione. Si vuole dimenticare che sono stati 50 mesi terribili, in cui il Paese è stato sottoposto alla più grave tensione occupazionale del dopoguerra.  Un periodo in cui l’Italia ha smarrito la consapevolezza di essere stato, almeno  fin qui, un grande Paese produttore. Siamo invece diventati una nazione di consumatori."


- Come si è arrivati a questo?

"Per diverse ragioni. Innanzitutto ha resistito troppo a lungo l'idea che il lavoro coincidesse con l'officina, con la fabbrica di novecentesca memoria. ll lavoratore era semplicemente l'operaio, maschio, unico portatore di reddito in famiglia. Un approccio da secolo scorso. La cultura operaista  ha fatto perdere di vista l'evoluzione del mondo occupazionale. Ha ritardato i nostri riflessi nel cogliere le mille sfaccettature cui il mercato occupazionale è andato incontro."

- E poi?

"C'è stato anche un disconoscimento della crisi, che è avvenuto soprattutto negli anni di Berlusconi. Non solo non si è fatto nulla per far fronte all'aumento della disoccupazione ma si è addirittura negato che questo avvenisse."


- Nel discorso del neo-premier di Enrico Letta in Parlamento ha trovato spiragli di speranza?

"Ho apprezzato l'accenno al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, unica misura utile a ridurre il dramma sociale di famiglie senza reddito. E l'estensione del reddito minimo a persone attualmente escluse da questa misura. Occorre ricreare le condizioni per scuotere il mercato, riavviare i giovani al lavoro e porre un argine alla precarietà."


- C'è chi dice che in periodi di crisi, paradossalmente, le parti sociali dialoghino i più:  imprese e sindacati sono davvero più vicini ?
"Io non sono d'accordo con chi parla di nuovo patto sociale. Credo semmai che sia comune alle imprese e ai sindacati la consapevolezza di dover davvero rimettere al centro del dibattito e delle politiche il tema del lavoro e della ristrutturazione del nostro sistema industriale. A partire da questa base , è naturale che le ricette siano diverse. Lo dico con un esempio: è giusto pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese creditrici, ma occorre dando precedenza alle imprese che mantengono occupazione."


- C'è un errore che in questi 50 mesi il sindacato ha il dovere di riconoscere, a suo avviso?
"Forse la mancanza è stata soprattutto una difficoltà a dialogare con soggetti a noi tradizionalmente poco vicini. Penso ai giovani lavoratori precari, con i quali è urgente immaginare un futuro da costruire insieme. In questi mesi la Cgil ha difeso l'idea del lavoro, ma occorre farlo anche con i mondi più lontani dalla nostra tradizione."


Francesco Gaeta

Già da cardinale papa Francesco tuonava contro “l’imperialismo del denaro che toglie di mezzo addirittura il lavoro, che è il modo in cui si esprime la dignità dell'uomo, la sua creatività, che è l'immagine della creatività di Dio”. E da Papa, non più tardi di domenica scorsa è tornato, dopo il dramma del tragico crollo della fabbrica in Bangladesh, a “rivolgere dal profondo del cuore un forte appello affinché sia sempre tutelata la dignità e la sicurezza del lavoratore”.

Pensando alle famiglie delle numerose vittime il Papa ha assicurato preghiera e vicinanza. E al contempo non ha mancato di ricordare l’impegno della Chiesa verso i poveri e i senza lavoro invitando a estendere i diritti dei lavoratori nei Paesi emergenti. “Una misura”, ha commentato il mondo cattolico, “per difendere il modello sociale europeo e rallentare l'impoverimento dei suoi lavoratori”. E mentre al Papa è stata consegnata, per il primo maggio, una stuatuetta che raffigura San Giuseppe lavoratore con i mano i chiodi e i simboli della crocifissione di Gesù, il mondo cattolico chiede che la giornata sia dedicata proprio ai lavoratori di Dacca.

Intanto, da più parti, viene ricordato il pensiero del Papa che, già nel 2002 si era scagliato contro il capitalismo,
il “liberalismo estremo mediante la tirannia del mercato”, contro “l’idolo del denaro” e contro “chi non ha remore a trasformare milioni di lavoratori in disoccupati”. L’Argentina viveva la sua crisi peggiore conseguenza di quello che Bergoglio non esitava a definire “terrorismo economico-finanziario”. “La dilapidazione del denaro del popolo”, diceva in una famosa intervista, “il liberalismo estremo mediante la tirannia del mercato, l'evasione fiscale, la mancanza di rispetto della legge tanto nella sua osservanza quanto nel modo di dettarla e applicarla, la perdita del senso del lavoro, in una parola, una corruzione generalizzata può essere combattuta tornando alla politica, intesa, come diceva Paolo VI, come la più alta forma di carità”.

Annachiara Valle

"Il lavoro deve tornare a essere forza di nuova democrazia". Sono chiare le parole di Gianni Bottalico, presidente delle Acli, alla vigilia del primo maggio."Il mondo del lavoro”, continua il presidente, “va inteso come alleanza dell’economia reale, non solo tra lavoratori e imprese, come dice Confindustria, ma anche tra famiglie, mondo sempre più diffuso dell’economia sociale e settore pubblico. Questi cinque soggetti devono essere il perno di una rinascita democratica capace di contrastare lo strapotere della finanza speculativa e un’idea di mercato priva di regole".


Come uscire dall'emergenza? 

“Occorre superare la fase della politica di austerità che soffoca l'economia. L'Europa deve cambiare rotta. L'obiettivo del risanamento dei conti pubblici, come si è visto nell'ultimo anno con il governo dei tecnici, se non tiene conto delle esigenze delle famiglie e delle imprese, finisce per innescare una spirale recessiva che pregiudica ed allontana nel tempo il raggiungimento dei medesimi obiettivi contabili. Per uscire da questa fase recessiva è necessaria una politica che punti  sulla crescita, mettendo in campo a questo fine tutte le risorse necessarie”.


Qual è l'agenda delle priorità in tema lavoro che le Acli suggeriscono al nuovo governo?

“Del ventaglio di proposte che abbiamo inviato a Letta ne cito due: accelerare e rendere  strutturale il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, detassare il lavoro. Ma in una fase in cui milioni di persone sono senza lavoro e chi ancora conserva un'occupazione è stritolato da carichi sempre crescenti di lavoro, noi vorremmo che si ritornasse a parlare di come lavorare meno per poter lavorare tutti”.


Grillo scommette sul fallimento dell'Italia in autunno. I vostri dati cosa dicono?

 “I dati a nostra disposizione, come quelli delle dichiarazioni dei redditi ai Caf Acli, testimoniano da tempo un processo di impoverimento dei ceti intermedi che finisce per avere una ripercussione negativa sulla domanda interna, sui consumi. Tuttavia se la politica, in Italia come in Europa, saprà riprendere le redini, regolando in modo stringente la finanza speculativa, impedendole di assumere rischi che non può coprire, senza scaricare le perdite sulla collettività com'è successo sinora, allora credo che si riuscirà ad uscire dalla spirale perversa dell'indebitamento. Bisogna disinnescare il “pilota automatico” nell'economia e nel commercio mondiale, perché non reggiamo la concorrenza asiatica, ed allora nessuno fallirà”.

 

Come difendere il lavoro e i diritti conquistati finora in un tempo di crisi?

“Se vogliamo difendere il lavoro in Italia e l'impianto su cui si regge il modello europeo di libertà politica ed economica, istituzioni democratiche e stato sociale, dobbiamo rilanciare con decisione il tema di un lavoro dignitoso e decente in ogni parte del mondo”.


Annachiara Valle

Re dei passaggi radiofonici di questo periodo con il brano sanremese Sotto casa, Max Gazzè non mancherà sul palco del concertone del 1° maggio a Roma, dove era stato più volte già negli scorsi anni. “Come musicista, partecipo con piacere a questa tradizione, mi piace viverla con lo spirito della festa del lavoro e dei lavoratori”, spiega. “Il clima è di festa, io non festeggerei mai in uno spirito che non fosse questo”.

Anche in un momento nel quale il lavoro manca?
“Ci sono stati altri momenti nei quali il lavoro è mancato, e io certo spero che possa mancare sempre meno. Però lo spirito è quello propositivo, di speranza. Festeggiare il lavoro potrebbe essere anche un modo per augurarsi di trovarlo, il lavoro. Purtroppo la disoccupazione è un problema sociale, che riguarda condizioni economiche e situazioni sociologiche, però la festa del lavoro e dei lavoratori dovrebbe rimanere in qualche modo integra”.

Lei sul palco dirà qualcosa?
“Per me è importante usare il palco per suonarci, non per lanciare proclami politici. Se devo comunicare il mio pensiero (che riguardi la politica, la società, la filosofia o altro), lo faccio in altri ambiti. Sul palco suono, canto le canzoni, veicolo messaggi attraverso la musica. Il 1° maggio canterò un brano che si intitola La favola di Adamo ed Eva, che è una canzone a sfondo sociale e che rimane attuale nonostante che sia stata scritta nel 1998, soprattutto sul tema del rapporto tra lavoro ed economia: lì me la prendo col mercato dei cambi, me la prendo col fatto che dobbiamo pagare tre volte un litro di benzina. Mi sembra un ottimo modo per lanciare un messaggio usando il palco del 1° maggio”.

Cosa pensa dell’esclusione di Fabri Fibra dal concerto?

“Al di là delle motivazioni che ci sono state, penso che Fabri Fibra in passato abbia cantato certi temi cercando di raccontare come in una fotografia, di rispecchiare delle storie. Lo fa secondo uno stile, un modo di descrivere la realtà che appartiene spesso alla musica rap, la quale del resto nasce dalle strade, dai sobborghi e narra aspetti sociali anche crudi. Sono rimasto basito dalla scelta di escludere un artista del quale si era già annunciata la partecipazione. Secondo me, è stata più grave la censura verso Fabri Fibra che non quello che lui ha scritto”.

Rosanna Biffi

«Ma che politica, che cultura! Sono solo canzonette!». Eh no, caro Edoardo Bennato. Il concerto del 1° maggio da piazza San Giovanni a Roma, volgarmente noto come "Il Concertone" (non si sa se per la qualità dei contenuti o per la durata da film cecoslovacco di fantozziana memoria)  è una cosa seria, serissima. Basta leggere il titolo dell'edizione di quest'anno: «La musica per il nuovo mondo. Spazi, radici, frontiere». Non si capisce bene cosa voglia dire, ma si intuisce che si parla di cose importanti, impegnative. Non viene menzionata la parola "lavoro", che poi sarebbe il motivo per cui i sindacati lo organizzano dal 1990, ma forse è una raffinata provocazione per farne risaltare l'assenza nell'Italia di oggi.

Comunque sia, quest'edizione si annuncia di particolare interesse perché per la prima volta un gruppo, Elio e le Storie Tese, ha addirittura composto una canzone dedicata all'evento,
Il complesso del primo maggio, permettendosi di mettersi alla berlina tutta la liturgia ultraventennale di questo appuntamento fisso dei palinsesti televisivi. Si passa dal cantante sconosciuto costretto a esibirsi «sotto il sole di pomeriggio con la chitarra acustica scordata, calante che la gente che balla a torso nudo neanche la sente», alla musica balcanica «tipo Bregovic» che «è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i...» (ci siamo capiti), dal gruppo che «valorizza il territorio» e «senza nessun motivo c'è un percussionista ghanese che è stato ricollocato in un complesso pugliese», alla canzone folk «tipo Van de Sfroos», dall'artista che fa precedere la sua esibizione da un'«invettiva contro il capitalismo», con parole scevre da ogni retorica tipo «è ora di dire basta col lavoro che sfrutta tutti», fino ai «pesci grossi», tipo «Negramaro e Jovanotti» che chiudono la serata dopo tanti «avannotti».

Gli aspetti interessanti sono due: il primo è che nemmeno lo sberleffo degli Elii è riuscito a modificare la liturgia.
Silenziato un possibile disturbatore come Fabri Fibra (prima invitato e poi lasciato a casa perché in alcune sue canzoni inneggerebbe addirittura al femminicidio, invano il rapper ha tentato di spiegare che il punto di vista dei suoi testi non necessariamente coincide con il suo) e incassata per questo la definizione di "Minculpop" da parte di Jovanotti, gli organizzatori hanno presentato il programma. Si parte alle 15 e si finisce a mezzanotte: sette ore di diretta su Rai 3, interrotte solo dal Tg delle 19, condotte da Geppi Cucciari in cui saliranno sul palco tanti giovani di belle speranze (alcuni dotati davvero di grande talento, come il siciliano Colapesce) e «pesci grossi» per restare alla canzone di Elio, (in realtà non così grossi come altre volte), come Max Gazzè, Niccolò Fabi, Federico Zampaglione, Cristiano De André e il glorioso Banco del Mutuo Soccorso.

Non mancherà il momento "colto", con l'esecuzione dell'Inno di Mameli da parte di 100 violoncellisti diretti da Giovanni Sollima, il momento "nostalgia" con un supergruppo impegnato a reinterpretare classici di Battisti, Dalla, Celentano e De Gregori, né il momento "impegnato", con la lettura da parte di una squadra di attori (Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca e Emanuela Grimalda) di alcuni testi sul tema del lavoro. Ma l'aspetto davvero interessante di questo Concertone è che i veri «pesci grossi» sono proprio loro: Elio e le Storie Tese, vittime anch'essi della censura proprio su quel palco nel lontano 1991, alla vigilia di Tangentopoli, quando furono interrotti dal conduttore di allora, Vincenzo Mollica, mentre invitavano il pubblico a dire "ti amo" a politici e faccendieri.

Rinunceranno a cantare Il complesso del primo maggio? Certamente no. Si creerà allora lo stesso cortocircuito che abbiamo visto all'ultimo Sanremo quando dall'Ariston con la loro Canzone mononota in tre minuti hanno demolito tutti i cliché sulle canzonette. Del resto, la miglior definizione su cosa rappresenti oggi il Concertone l'ha data il presidente della Rai Luigi Gubitosi alla presentazione dello stesso: «Un piccolo Sanremo a Roma».

Eugenio Arcidiacono

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