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sabato 21 giugno 2025
 
INTERVISTA
 

Acli, l'etica del lavoro in piazza San Pietro

22/05/2015  Migliaia di aclisti da tutta Italia in udienza generale da papa Francesco. "Gli spiegheremo la complessità della crisi italiana", dice il presidente Gianni Bottalico, "perché il nostro è un Paese ferito non solo dai problemi economici"

(nella foto: il presidente delle Acli Gianni Bottalico)


“Per noi è un grande orgoglio ed è il segno che l’associazione sta sempre nel cuore della Chiesa e del mondo”. Gianni Bottalico, presidente delle Acli, presenta le Acli a Papa Francesco, proprio il 23 maggio, il giorno in  cui l’Associazione cristiana lavoratori italiana compie 70 anni. Migliaia di aclisti di tutta Italia in piazza san Pietro per una festa, dice, “del lavoro e del popolo”.
Come stanno le Acli oggi?
“Sempre in prima linea a difendere lavoro e lavoratori. Fanno parte della storia del Paese, perché con il Paese hanno sofferto senza mai isolarsi”.
Porterete le sofferenze dei lavoratori davanti al Papa?
“Gli spiegheremo la complessità della crisi italiana, un Paese ferito dalla crisi, con povertà in aumento e lavoro, quando c’è, spesso precario e insicuro. Ma non ci sono solo i problemi economici e viviamo anche una crisi sul piano politico”.
In che senso?
“E’ svanita la passione per la politica, vi sono troppe fratture da riempire tra chi governa e i cittadini”.
Le Acli cosa possono fare?
“Nel nostro statuto ci sono tre fedeltà: alla Chiesa, al Vangelo e alla democrazia. Dobbiamo ripensare cosa significa fedeltà alla democrazia e per questo in  occasione dei 70 anni non solo domani andremo in piazza san Pietro con Papa Francesco, ma tra pochi giorni le Acli si riuniranno in un’assemblea straordinaria per cercare di capire meglio il nostro ruolo dentro un  Paese dove molte sono le ferite”.
Chi rappresentate?
“Il ceto medio popolare che è stato il più colpito dalla crisi. Noi dobbiamo essere la voce di questa parte dell’Italia, oggi mortificata e che fatica trovare qualcuno che lo rappresenti”.
Un ruolo più politico?
“Non siamo un partito e mai lo saremo. Ma dobbiamo elaborare un pensiero politico e proposte concrete per costringere la politica ad occuparsi di una parte del Paese che la crisi sta sbaragliando e dunque soffre di più”.
Eppure la politica oggi con Matteo Renzi sembra che abbia ritrovato una nuova stagione.
“C’è un po’ troppa retorica, soprattutto attorno alle grandi riforme. Le Acli hanno sempre detto che le grandi riforme hanno bisogno di ampie maggioranze, anzi di ampia rappresentanza. Tutti devono essere d’accordo e non solo in Parlamento. Ma io non vedo un patto tra Stato, Regioni, industria, famiglie, consumatori per ragionare a fondo su ciò che è meglio per il Paese. Vedo troppa fretta. Il governo corre e rischia di inciampare. Invece prendersi qualche giorno in più, ragionare con più calma e serenità per non perdere un pezzo di Paese, per far convergere i cittadini sulle riforme sarebbe una cosa da fare”.
Chi sta fuori?
“I corpi intermedi della società civile. Sono stati messi da parte, nessuno discute più con loro: dalla associazioni ai sindacati. Rischiamo una crisi di rappresentanza. Renzi va veloce, ma sui passaggi decisivi deve ascoltare i corpi intermedi”.
Cosa c’è di positivo?
“Il governo ha avuto il merito di aver posto il lavoro al centro. Ma non si può parlare solo del Job act, perché le regole si fanno sul lavoro che c’è. Il problema è il lavoro che non c’è e questo dovrebbe essere il tema principale”.
La vostra proposta?
“Un grande patto nazionale tra governo, sindacati, società civile, industriali che porti alla scrittura di un piano industriale articolato in grado di rilanciare il Paese: nuove fabbriche, lavori pubblici, messa in sicurezza del territorio, servizi, scuola. Non bisogna procedere a compartimenti chiusi. Occorre una operazione di sistema su un grande progetto Paese”.
Il Papa ha chiesto alla Cei di non essere timida nella denuncia della corruzione. “La corruzione toglie risorse alla lotta alla povertà, al lavoro, al patto virtuoso tra generazioni. Se avessimo quei soldi molti problemi potrebbero essere meglio affrontati e magari risolti. Ma non si tratta solo dell’etica personale del non rubare. In Italia c’è un problema di etica pubblica, cioè personale e istituzionale insieme”.
E come si affronta?
“Tornando a fare la buona politica, impegnandosi in prima persona, entrando nelle istituzioni per dimostrare che si può amministrare in modo onesto. Le Acli non hanno mai smesso nella loro storia di dare gente alla politica, hanno offerto persone competenti e dal forte spirito etico. Non abbiamo mai avuto bisogno di vescovi che ci hanno pilotato o di monsignori che ci hanno detto cosa dovevamo fare. Se abbiamo sbagliato ce ne siamo assunti la responsabilità. Abbiamo sempre dimostrato di essere laici maturi e adulti”.
Oggi c’è bisogno di nuovi cattolici in politica?
“Intanto c’è bisogno di gente nuova per la politica. Certamente tra i protagonisti devono esserci i cattolici, anzi devono tornare i cattolici. Il Papa parla molto di Chiesa di popolo. Ebbene una Chiesa di popolo si costruisce anche spendendosi in politica, anche assumendo responsabilità precise, da laici, senza timore di diventare protagonisti di una stagione nuova di cui c’è bisogno”. 

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