Scrive Nawal su Facebook: “Nazir ha deciso di donare parte del suo fegato per salvare la vita del padre, gravemente malato, con questa operazione e le cure, la sua famiglia è riuscita ad avere delle donazioni, ma si e’ anche indebitata perché l’intervento chirurgico è costato 75 mila euro. Per questo Nazir ha deciso di tentare di nuovo di salvarla, lasciare tutto, la terra d'origine e partire, per venire in Europa e assumersi un'altra responsabilità, ossia quella di lavorare, lavorare tanto e ridare indietro questo enorme debito. Lavorare per recuperare quel denaro e recuperare rispetto e dignità ai suoi cari. L'ho incontrato qui, in Bosnia. Mi mostra le foto che porta con sé sul cellulare, di quando stava nel letto d'ospedale con suo padre e che dopo l'operazione poteva di nuovo sorridere a sua moglie, a suo figlio e lui è fiero, felice, si riscalda di gioia mentre il freddo ci congela.
Guardo lui e penso ai tanti giovani della sua età che cercano le sale da biliardo per poter passare la sera tra amici. Beh, oggi mi faceva vedere la cicatrice dell'intervento e mi diceva che non ha mai più fatto controlli medici da quando ha lasciato il suo paese. E` passato un anno e tre mesi da allora. E’ stato riportato più volte dalla Grecia verso la Turchia; picchiato proprio su quella cicatrice, quella ferita che gli ricorda il suo impegno morale; un dolore fisico e dell'anima che si porta dietro in un tempo interminabile.
Oggi, si ritrova a vagare nella Rotta balcanica con quella speranza nel cuore che si assottiglia, tanto da voler tornare in Albania per attendere le tiepide giornate, perché qui è veramente insopportabile. Chiunque volesse mettersi in diretto contatto con il ragazzo, aiutarlo mensilmente siete i benvenuti”.
E’ l’ennesimo l’SOS, stavolta per “l’eroe” Nazir, come lo definisce, lanciato qualche tempo fa da Nawal Soufi, l’angelo dei profughi. Catanese, di orgine marocchina, 33 anni, mediatrice culturale. Il suo nome in marocchino significa “dono”, nomen omen. E’ un’attivista indipendente, una “hope maker”, che da anni si sposta lungo le tappe della “Rotta Balcanica” per farsi compagna di strada dei profughi che incontra, per raccontare le condizioni disumane in cui si trovano costretti a vivere e per cercare di dare loro un aiuto immediato. Non lavora per nessuna organizzazione, ma cerca di collaborare con tutte. S’ è inventata una specie di adozione a distanza, cioè forme di supporto, anche informali, per mettere in contatto diretto i migranti incrociati in Grecia, nel campo profughi di Moria, in Albania, in Bosnia, nel Kosovo, in Serbia, con chi vive in Europa e vuole aiutare in qualche modo queste persone. Il progetto solidale per sostenere singoli o famiglie che hanno perduto tutto si chiama “Adotta un emigrante”.
Cosa fa concretamente? Intercetta i migranti e i loro bisogni: dal farmaco introvabile, agli indumenti, dal pagamento delle schede telefoniche al trasferimento di denaro; dal tutoraggio per ottenere un documento, un visto, al passaggio in auto in ospedale. Grazie al cellulare, fa la mediatrice tra chi può aiutare e chi ha bisogno. Si creano delle chat e chi vuole dare una mano si può mettere in contatto diretto con chi chiede aiuto.
Dei suoi viaggi lungo la Rotta ha scritto: “Nel giro di 24 ore ho visto i pericoli che un essere umano potrebbe vivere nell’arco di anni. Tra delinquenti di frontiera e trafficanti di merce umana, paura dei cani, della polizia e del freddo. Abbiamo toccato con mano cosa significhi innalzare barriere e rendere l’Europa permeabile solo attraverso le mafie organizzate, perché la chiusura delle frontiere non favorisce la legalità”. Nawal non s’ girata dall’altra parte ma è scesa in campo per dare una mano e cercare chi più fortunato può soccorrere chi bussa alle porte blindate dell’Europa".
Prima di spostarsi sulla rotta Balcanica, Nawal dal 2013 aveva già contribuito a salvare migliaia di persone dalle acque del mare Mediterraneo. Nel libro che ne racconta la biografia, Nawal. L’angelo dei profughi, di Daniele Biella (Paoline 2015), si parla di 20mila persone salvate. Alla domanda «chi te lo fa fare», lei risponde semplicemente: «È il cuore che mi paga».
(per contatti: https://www.adottaunmigrante.com; contattaci@adottaunmigrante.com)
Fonti: www.famigliacristiana.it; www.giovanigenitori.it;)