Le scritte erano state cancellate già dopo poche ore dall’intervento della sopraintendenza. Ma a fare tabula rasa definitiva delle iscrizioni B.R. disegnate a spray rosso sul monumento che ricorda la strage di via Fani sono stati i due presidenti provvisori di camera e Senato. Nel giorno che apre la nuova legislatura, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso inaugurale della XVIII legislatura ha ricordato che «nell'ulteriore sviluppo del confronto politico-istituzionale sulla base del voto del 4 marzo, bene comune da garantire al Paese - chiunque sia chiamato a governare - è la non violenza, lo scongiurare la violenza, in tutte le sue motivazioni e le sue forme. Sappiamo dove possono condurre le spirali di violenza. Non dimentichiamo gli anni Settanta. Abbiamo appena ricordato l'anniversario della strage di via Fani e quindi del rapimento e della tormentosa prigionia di Aldo Moro fino alla sua barbara uccisione. Ci resta e ci è caro il prezioso lascito della sua riflessione autocritica, del suo messaggio di libertà e di dialogo. Il confronto politico va tenuto libero anche da qualsiasi nostalgia o indulgenza verso il regime della violenza che col fascismo ha dominato per vent'anni l'Italia».
Dal canto suo, Roberto Giachetti, presidente provvisorio della Camera, ha condannato «lo scempio oltraggioso» con il quale «ancora una volta è stato profanato il monumento in via Mario Fani». Giachetti ha ricordato i nomi dei carabinieri e poliziotti morti nella strage: Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Francesco Zizzi e Giulio Rivera. E, agli autori del gesto, ha intimato: «Sappiano quegli individui che quella storia non tornerà mai più».
Intanto il legale che assiste i familiari della scorta di Moro, Walter Biscotti, ha sottolineato che questo, insieme al gesto di qualche settimana fa che aveva imbrattato la lapide con delle svastiche, «non è un episodio da sottovalutare in quanto dai processi ultimi alle Br, e in particolare agli omicidi Petri, Biagi e D'Antona, si evince che non tutti i brigatisti furono catturati e che qualche spezzone
sia rimasto nel silenzio operativo. Ecco perché non bisogna mai abbassare la guardia ritenendo il fenomeno brigatista una cosa del passato».
Vanno fatte però delle distinzioni, aggiunge Giovanni Ricci, figlio di Domenico ucciso in via Fani: «Chi ha sbagliato è un assassino e assassino rimarrà, ma chi afferma il fallimento di un'ideologia ammettendo di aver fatto l'errore più grande della sua vita è da considerare in maniera diversa da chi ancora mitizza quegli anni. Pur condividendo pienamente le parole del capo della polizia Gabrielli sulla differenza tra chi era dalla parte del male e chi del bene, io sto cercando disperatamente anche di marcare una differenza tra gli stessi brigatisti, tra chi ha ammesso le proprie colpe e gli irriducibili».