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giovedì 19 settembre 2024
 
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Le 36 ore nere delle squadre azzurre a Tokyo 2020

04/08/2021  Pallavolo, pallanuoto, pallacanestro. Cinque squadre uscite ai quarti di finale, spesso in contemporanea. Ma le sconfitte non sono tutte uguali. Ecco perché.

Cinque su cinque quarti di finale persi in una manciata di ore, cinque occasioni di andarsi a giocare almeno la speranza di una finale per il bronzo o qualcosa di meglio. Se la Serbia è un incrocio ossessivo nel castello dei destini delle squadre italiane a Tokyo, non basta da sola, nelle sue declinazioni, a spiegare le 50 ore nere in cui sono andate in briciole tutte insieme le speranze di medaglie delle squadre azzurre, nel primo turno a eliminazione diretta. Un’infilata di cinque sconfitte – tra pallavolo, pallanuoto, pallacanestro - che, però, non sono tutte uguali.

BASKET, GRAZIE LO STESSO

Come giustamente ha detto a mente fredda Meo Sacchetti Ct della pallacanestro la sua Italia è uscita a testa alta dal confronto con la Francia finito con un 84-75 che non rende giustizia delle unghie e dei denti con i quali gli azzurri, pieni di cuore ma fisicamente più leggeri, si sono tenuti aggrappati fino al 73 pari dopo aver ricucito eroicamente nel 3° quarto uno svantaggio di 14 punti. Non dovevano neanche esserci a Tokyo gli azzurri, ci sono arrivati grazie a un miracolo: battere la favoritissima Serbia (sempre lei!), nella tana del lupo, a Belgrado in extremis nel torneo preolimpico. C’è spazio solo per un applauso e grazie lo stesso. Il cuore oltre l’ostacolo c’era già stato, per conquistare il diritto a esserci, tutto il resto è stato in più.

PALLAVOLO MASCHILE, LE LACRIME DI OSMANY

  

Non lo stesso si può dire dell’Italia della pallavolo maschile, che, giusto ricordarlo, non era tra le favorite alla vigilia, ma avrebbe potuto battere, se non avesse troppo sprecato, l’Argentina pescata ai quarti di finale, una squadra tosta, ma a corto di uomini causa covid, e tecnicamente alla portata. Già nella fase eliminatoria e nei precedenti del quadriennio s’era visto che l’argento di Rio s’era parecchio allontanato. Ma con l’Argentina obiettivamente si poteva e doveva fare di più. Il recupero del quarto set ha dimostrato che il margine c’era, sarebbe servita più cattiveria e qualche errore in meno in battuta e in difesa, per agguantare almeno le semifinali, minimo sindacale, per l’Italia, da Barcellona 1992. Si sa che si era alla fine di un ciclo tecnico: Gianlorenzo Blengini dopo Tokyo passerà la mano a Fefè De Giorgi, uno dei tanti ex della Nazionale dei fenomeni ad aver intrapreso il percorso in panchina. Dovrà lavorare al consolidamento dei giovani entrati a partire dal lungo ventenne Michieletto: ci sarà da rimpiazzare Osmany Juantorena uscito in lacrime e non è poca cosa.

EGONU E LE ALTRE, IL TEMPO DEI RIMPIANTI

Dalla pallavolo femminile il rimpianto più grande, anche per come è arrivato. Dopo un avvio di torneo autorevole e convincente, come ci si attendeva dalle vice campionesse del mondo che nel 2018 hanno tenuto testa alla Serbia in finale, esprimendo in Paola Egonu la migliore opposta del Mondiale, si è tutto sfarinato nel penultimo turno del girone: una sconfitta contro la Cina già eliminata che aveva tutta l’aria di essere figlia di un calo di concentrazione, che evitata avrebbe reso il cammino dei quarti molto più abbordabile. Sarebbe servito rimediare contro gli Stati Uniti, certo più consistenti della Cina, per evitare la temuta Serbia ai quarti. E invece dopo il 2-1 nei primi due set ci si è smarrite, in troppi errori. La tenuta mentale squagliata con la Cina non è più tornata, nemmeno quando si è trattato di giocarsela a dentro o fuori con un’avversaria più forte, la solita Serbia, appunto, ma lasciata andare troppo facilmente, senza mai crederci davvero.

CONTRO LA SERBIA, AL SETTEBELLO NON RIESCE LA RIMONTA

  

Stessa bestia nera pescata dal Settebello, cui non è bastato il cuore per tentare una rimonta già riuscita contro gli Stati Uniti. Certo, dire Serbia nella pallanuoto è dire campioni olimpici 2016 e dire uno dei tentacoli dell’idra rinata dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Lo squadrone che fu ha prodotto tre formazioni su otto ai quarti di finale olimpici: Serbia, Montenegro, Croazia, una contingenza che negli ultimi vent’anni ha fatto crescere ulteriormente l’enorme equilibrio che già c’era tra le grandi scuole della pallanuoto europea: Spagna, Italia, Ungheria, Grecia, non per niente tutte ai quarti e tranne l’Italia tutte oltre. La Serbia di oggi è sembrata oggettivamente fuori portata per un’Italia che ha subito un po’ troppo all’inizio e faticato a sfruttare la superiorità numerica in attacco. Ma l’avversario era duro, e si sapeva, e la concorrenza in acqua fortissima.

QUESTIONE DI POCHI PALLONI

L’ultimo rimpianto, si diceva, ha avuto gli sguardi stralunati e i corpi sudatissimi di Lupo e Nicolai, argento a Rio nel beachvolley: sono rimasti incollati ai favoriti qatarioti ma non sono mai riusciti a lasciarli indietro per meno di un punto, complice la precisione degli avversari, il muro che ha funzionato meno di altre volte e qualche errore in battuta con gli altri di là dalla rete che non regalavano niente. Quando un cambio palla può fare la differenza come nel secondo set anche un solo errore in più serve a decidere.

Gettare croci a botta calda non serve a nessuno ed è pure ingeneroso. Occorrerà fermarsi, ragionare a freddo di che cosa non abbia funzionato tra queste cinque squadre che qualche speranza di medaglia avevano motivo di coltivarla, perché il potenziale reale è migliore di quanto espresso in questi due giorni poco fortunati. Nell'eliminazione diretta si sa decidono i dettagli a volte, ma non sempre. Vale per Lupo e Niccolai, cui sarebbe bastato che un paio di palloni atterrassero diversamente per cambiare direzione, non vale per le ragazze del volley il cui calo improvviso ha bisogno di un’analisi, per ripartire, per ritrovarsi, perché Parigi 2024 è vicina.

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