Si sono conosciuti il 19 novembre del 1979, nella scuola superiore del loro paese. Acqua ne è passata sotto i ponti. Eppure gli occhi che si cercano e l’intendersi al volo rivelano che l’amore di ieri è sempre vivo. Francesca Maria Forgetta e Vincenzo Testa oggi sono una bella coppia di mezza età. A 54 anni lui, 50 lei, con figli ormai grandi – Domenico 26 anni, Lucia 24 – hanno intrapreso una strada che segna un nuovo inizio nella loro vita. E traccia un percorso di spiritualità laicale allo stesso tempo antico e originale. «Abbiamo voluto che la nostra casa diventasse un eremo, un luogo dove le famiglie possano ritrovarsi, condividere del tempo e della preghiera, fermarsi in silenzio», dice Vincenzo, che è diacono permanente alla parrocchia San Pietro apostolo di Minturno, in provincia di Latina. «Di solito l’eremo fa pensare a qualcosa di isolato, in montagna. E invece le nostre case già lo sono, bisogna solo riconoscerlo».
Persone in ricerca
L’idea non nasce dal nulla, ma arriva da vite “normali” dove però la ricerca di un “di più” spirituale non si è mai fermata. Per questa coppia, che comunica con immediatezza il calore e la generosità di un’accoglienza “made in Sud”, le varie tappe della vita sono state percorse non a prescindere, ma in compagnia del Signore, come Vincenzo ben racconta nel libro che ha dedicato alla sua compagna per il 25° anniversario di matrimonio (Parole dal cuore. Lettera alla mia sposa, Edizioni Paoline). E che il 21 settembre di due anni fa è stato donato anche a papa Francesco, alla fine della celebrazione eucaristica a Santa Marta.
La loro è una storia di semplice straordinarietà e fedeltà: Franca insegna religione, Vincenzo è addetto stampa al comune di Castelforte (Latina), dove abitano; entrambi vengono da un cammino “tradizionale”: comunità parrocchiale, catechismo, fondatori e animatori di gruppi scout; quando lui viene scelto come diacono inizia l’impegno nei corsi di lectio divina e nell’animazione di ritiri e giornate di spiritualità. Mentre i figli crescono, la casa in mattoni sui colli dei Monti Aurunci, tra il Lazio e la Campania, costruita dalla famiglia di Vincenzo “pietra su pietra”, diventa sempre più ritrovo degli amici dei ragazzi e della comunità di adulti che Vincenzo segue in parrocchia. In particolare la “casetta”, la piccola dépendance tra gli ulivi che guarda dall’alto il golfo di Gaeta, diventa spazio di ospitalità per chi vuole fermarsi per una o più sere, per condividere un momento di preghiera o una grigliata tra amici. Quando i ragazzi diventano più grandi, i genitori ripartono per i viaggi che li hanno sempre affascinati: estati tra monasteri e sulle vie dei pellegrini, come Santiago de Compostela.
In una di queste peregrinazioni arrivano al monastero di Valledacqua, ad Ascoli Piceno, tenuto dalle monache camaldolesi. Sono loro a indirizzarli alle consorelle di Roma, al monastero di Sant’Antonio all’Aventino. «Da lì nasce l’amicizia con madre Michela, la superiora delle Camaldolesi. E poi con padre Innocenzo Gargano, che fa parte dell’antica comunità dei Camaldolesi di San Gregorio al Celio». La coppia frequenta gli incontri mensili di formazione e di preghiera e chiede lumi per capire come incanalare il desiderio di aprire la propria casa a quanti sono in ricerca o desiderano semplicemente uno spazio per riposare nello spirito.
L’idea dell’eremo
Vincenzo ricorda le parole dirette pronunciate da padre Innocenzo: «Le illuminazioni dello Spirito vanno raccontate subito, altrimenti si perdono. Scrivete una Regola del vostro eremo di famiglia entro 15 giorni». Nasce così un opuscoletto di dieci pagine, La Regola dell’eremo di Aquila e Priscilla, che prende nome dai due coniugi collaboratori di san Paolo che «vivendo del proprio, offrirono la casa che abitavano per le riunioni della prima comunità cristiana», dice Franca.
«Semplicità, austerità e solitudine sono le caratteristiche dell’eremo», spiega Vincenzo. Che in concreto per una famiglia significa «avere momenti di preghiera e silenzio personali e di coppia, o con le famiglie che ospitiamo, e servirci delle cose senza diventarne schiavi». Ma anche, aggiunge Franca, «comprare frutta e verdura stagionali, utilizzare i prodotti a chilometro zero, coltivare l’uliveto e l’orto».
Crostate con marmellate dal sapore genuino accolgono gli amici che raggiungono la casa. Eleonora e Domenico, Marco e Pina, Rosalba… hanno conosciuto Vincenzo in parrocchia e con lui e Franca hanno deciso di approfondire il cammino. «Insieme abbiamo riscoperto il gusto della parola di Dio. E anche la Messa, che prima era una specie di obbligo cristiano, ora viene vissuta con gioia», dice Eleonora Castaldo, che da qualche anno fa la catechista.
«Alle persone che vengono qui chiediamo di pregare per noi, per chi vive la Regola, e di riflettere sulla propria scelta di vita». La Regola, che si ispira – rivisitandola – all’esperienza camaldolese, prevede fra l’altro una declinazione familiare di povertà («essenzialità e sobrietà»), obbedienza («reciproca tra moglie e marito»), castità («nel rispetto reciproco l’atto sessuale è la più alta preghiera che marito e moglie possano elevare»). La Regola «è solo un aiuto a concretizzare il cuore dell’esperienza che vogliamo fare e che proponiamo agli altri: vivere Gesù Cristo nel quotidiano».