“San Pietro non aveva un conto in
banca, e quando ha dovuto pagare le tasse il Signore lo ha mandato al
mare a pescare un pesce e trovare la moneta dentro al pesce, per
pagare”.
Così Papa Francesco nell’omelia della messa mattutina alla Domus Santa Marta, dedicata, ancora una volta, alla “povertà e alla “gratuità” con cui deve agire la Chiesa. La povertà è ormai un carattere distintivo del suo pontificato.
Del resto questa sua “teologia della povertà” viene da lontano, da una consapevolezza appassionata, dalla crisi che aveva divorato il suo Paese. In un’intervista a Gianni Valente,
l’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio aveva
elencato i mali morali che hanno portato alla bancarotta dell’Argentina,
la cui fase parossistica si verificò soprattutto tra il 1999 e finì per
attenuarsi dopo il 2002 con il ritorno alla crescita del Pil.
Bergoglio aveva evocato l’immagine dei tanti genitori delle Villas Miseria
che di notte attendevano che i figli dormissero per piangere sulle
proprie sciagure. Questi episodi così drammatici e struggenti avvennero
nei giorni del dissesto dei conti pubblici e dell’implosione dei “tango
bond”.
“La concezione magica dello Stato” è
alla base della diagnosi di Bergoglio di quel male sociale che ha
coinvolto milioni di argentini, insieme con “la dilapidazione del
denaro del popolo, il liberalismo estremo mediante la tirannia del
mercato, l’evasione fiscale, la mancanza di rispetto della legge tanto
nella sua osservanza quanto nel modo di dettarla e applicarla, la
perdita del senso del lavoro”.
E soprattutto “una corruzione generalizzata che mina la coesione della nazione e ci toglie prestigio davanti al mondo”.
Tutti temi che torneranno nel suo pontificato
e nella sua analisi dei mali sociali del mondo globalizzato. Del resto
la povertà è stato uno dei suoi primi pensieri fin dall’elezione del Conclave,
fin da quando il cardinale Hummes gli si avvicinò per ricordargli “i
poveri, i poveri”, come un chiodo nella testa. Poche ore dopo
l’elezione, di fronte ai giornalisti radunati nella Sala Nervi, accennando a quell’episodio, Francesco ha rivelato di sognare una Chiesa “povera per i poveri”.
“Il Vangelo va annunciato con
semplicità e gratuità”, ha sottolineato Francesco ribadendo che, nella
Chiesa, la testimonianza della povertà ci salva dal diventare dei meri
organizzatori di opere (è il senso delle “opere di religione” che vedono
sacerdoti e religiosi al centro della loro attività, come le cliniche,
gli ospedali, gli istituti scolastici, le case famiglia, le università,
le imprese sociali, le cooperative, le missioni e via dicendo).
E ha avvertito che quando vogliamo
fare una “Chiesa ricca”, la Chiesa “invecchia, non ha vita”. Non a caso
la sua prima enciclica dovrebbe trattare proprio queste tematiche, in
continuità con la Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Il pensiero del nuovo pontefice si muove su una duplice direzione.
Se da una parte desidera una Chiesa
“povera”, per dare l’esempio, dall’altro non cessa di gridare allo
scandalo contro una povertà che rende schiavi miliardi di persone: “Non
si possono capire i bambini affamati, senza educazione e i tanti poveri,
la povertà oggi è un grido”.
Il tema centrale del suo messaggio è la redistribuzione delle risorse,
in linea con il Discorso sulla Montagna (“Beati i poveri”). Per far
questo, dice, “dobbiamo tutti diventare un po’ più poveri per
assomigliare a Gesù che era il maestro povero”.
Il messaggio che Papa Bergoglio continua a diffondere è semplice e profondo allo stesso tempo. La Chiesa deve ritrovare un’austerità e una sobrietà trasparente e visibile, come fu quella di Gesù
e dei dodici apostoli. La Chiesa non può essere assimilata a una
gigantesca onlus. E non può nemmeno ricavare profitti come un
imprenditore qualsiasi, bensì reinvestire i suoi utili per il prossimo
nello spirito della parabola dei talenti. Ma alcuni suoi strumenti
finanziari, ha fatto intendere, devono essere adoperati con lo spirito
di una onlus, come una banca etica necessaria ad alimentare la linfa
finanziaria della comunità cristiana. E tra questi c’è sicuramente
l’Istituto per le Opere di Religione.