Premessa doverosa: la ricerca scientifica che vi raccontiamo oggi è di enorme portata per la medicina e non solo, ma non deve creare illusioni per l’immediato futuro. Potrà riparare organi difettosi, limitare le malattie cardiovascolari abbassando il colesterolo, fermare l’infezione del virus dell’Aids, guarire malattie genetiche come la talassemia e l’emofilia, ma prima che possa essere applicata normalmente sull’uomo occorreranno molti anni, forse qualche decina, e discussioni di bioetica approfondite. In altre parole, esploreremo oggi una frontiera della ricerca di base, anche se le prime applicazioni su modelli animali (i soliti topolini e qualche scimmia) sono già avvenute con successo.
In modo diretto o indiretto, quasi tutte le malattie, dalle più gravi – i tumori, l’infarto, l’ictus, il diabete – alle patologie dell’invecchiamento – Parkinson, Alzheimer – sono riconducibili a qualche errore, originario o acquisito, che si nasconde nei nostri geni. Una cura che voglia affrontare il problema di una malattia alla radice, deve andare a correggere quell’errore. Di terapie geniche si parla da anni ma sono state messe in pratica con risultati altalenanti. Qualche volta hanno funzionato, qualche volta no, qualche volta dopo un po’ hanno smesso di funzionare. La difficoltà consiste nel centrare perfettamente la modifica genetica che corregge l’errore. Finora si è andati avanti un po’ a tentoni. D’ora in poi invece avremo a disposizione una tecnica che promette correzioni genetiche perfettamente mirate.
La soluzione sta in un “paio di forbici” molecolari. Lo sappiamo, gli abiti di alta qualità sono quelli confezionati su misura. A tagliarli e cucirli non sono macchine ma sarti che sanno usare le forbici da maestri. I genetisti hanno finalmente trovato il paio di forbici adatto per tagliare il Dna (la molecola che contiene il progetto del nostro organismo) nel punto giusto e il metodo per “cucire” in quel punto la correzione: un metodo preciso, sicuro, facile (relativamente) da usare e, quando la nuova tecnica nei laboratori diventerà routine, anche poco costoso, come è accaduto con il metodo di amplificazione del Dna chiamato Pcr, Polymerase chain reaction, scoperto dal biochimico americano Kary Mullis nel 1983, dieci anni dopo premiato con il Nobel. Grazie alla Pcr e ai computer, la lettura completa di un genoma umano, che ancora nei primi anni del 2000 richiedeva anni e costava un patrimonio, oggi si fa in pochi giorni per qualche centinaio di dollari.
Il segreto delle forbici perfette per tagliare e cucire il Dna, che d’ora in poi ci consentiranno di modificare a piacere i geni di qualsiasi cellula, l’abbiamo imparato dai batteri. Fin da quando sono comparsi sulla Terra miliardi di anni fa, i microrganismi sono straordinari manipolatori del Dna: tra loro se lo scambiano e se lo ricombinano. È così che si sono evoluti e hanno posto le premesse per la comparsa di tutte le altre specie viventi. Ma anche i batteri hanno i loro nemici: i virus batteriofagi (cioè divoratori di batteri).
Molto più piccoli delle loro vittime, i virus stanno sul confine tra la materia vivente e la materia inanimata. Possiamo paragonarli a un software senza computer. Per “vivere” davvero e riprodursi, devono entrare dentro una cellula e impadronirsi dei suoi meccanismi biologici inserendovi il proprio Dna, come fa un software quando, caricato su un computer, lo trasforma, per esempio, in un videogioco. I batteri, essendo formati da una sola cellula, evidentemente non possono avere un sistema immunitario. Eppure in qualche modo riescono a “vaccinarsi” contro i virus che li attaccano. Come?
Hanno trovato la risposta nel 2007 i biologi francesi Rodolphe Barrangou e Philippe Horvath lavorando con colleghi canadesi dell’Università di Laval, nel Québec, la regione francofona del Canada.
I batteri che riescono a sopravvivere all’attacco di un virus batteriofago compilano un “diario” delle infezioni subite che permette loro, se di nuovo aggrediti, di riconoscere il Dna estraneo: riescono così a proteggersi dall’intrusione di altri batteriofagi. Il “diario” è in sostanza una parte dell’unico cromosoma di cui è dotato il batterio che contiene le istruzioni per la difesa. I biologi indicano questo “manuale” di autodifesa con la sigla Crispr, sigla dall’inglese Clustered regularly interspaced short palindromic repeats: è una descrizione della struttura molecolare del “manuale” che significa “brevi ripetizioni palindromiche raggruppate e separate a intervalli regolari” (sono palindromi i numeri o le parole che possono essere letti sia da destra a sinistra sia da sinistra a destra: per esempio 606 o radar). Il sistema Crispr, oltre a tenere in memoria sequenze del Dna del nemico batteriofago, nel caso di un attacco attiva un enzima, chiamato Cas9, che a sua volta pilota una sequenza genetica che va a tagliare il Dna virale, liquidando l’incauto batteriofago. Un batterio su due dispone di quest’arma, e tra i microrganismi più antichi, gli Archea, ben 9 su 10.
Il meccanismo con cui agisce Cas9, le “forbici” nella nostra metafora, è stato decifrato nel 2011 da Emmanuelle Charpentier – brillante microbiologa francese, nata nel 1968, con esperienze di ricerca negli Stati Uniti, Svezia e Germania – in collaborazione con Jennifer Doudna dell’Università della California. A questo punto i genetisti hanno avuto in mano le “forbici” taglienti e precise che tanto desideravano. Finiva l’era degli strumenti rudimentali per ottenere mutazioni genetiche: raggi X ed enzimi vari non sempre efficaci e affidabili. Arrivava al traguardo un lavoro iniziato nel 1944, quando si capì che il Dna contiene il patrimonio genetico, proseguito nel 1953 con la scoperta della struttura a doppia elica del Dna, nel 1985 con la prima modificazione mirata del genoma di una cellula animale e nel 1998 con il metodo escogitato da Mario Capecchi per identificare e disattivare qualsiasi gene nelle cellule embrionali di topo.
Il lavoro di Capecchi, premiato con il Nobel per la Medicina nel 2007 insieme con Martin Evans e Oliver Smithies, ha permesso di mutare circa 18 mila geni dei 20 mila nelle cellule embrionali di topo: ciò ha portato a 1.700 topi mutati in un gene che costituiscono altrettanti modelli animali per lo studio di malattie, primo passo verso la loro cura. La tecnica che utilizza lo strumento Cas9 si è diffusa rapidamente nei principali laboratori del mondo e nel 2013 in Corea del Sud e negli Stati Uniti quattro team di ricercatori sono riusciti a disattivare geni nelle cellule umane. Adattato all’applicazione nei mammiferi, Cas9 ripara un gene nell’8 per cento delle cellule, mentre con la tecnica precedente ci si fermava allo 0,5 per cento.
La prima applicazione terapeutica è venuta dalla Cina: nel 2013 il team di Jinsong Li dell’Accademia di Shanghai è riuscito a correggere nel topo una mutazione che causa nel roditore una cataratta ereditaria. Un altro gruppo di ricercatori ha poi verificato nel topo l’effetto di tre mutazioni genetiche che sviluppano il cancro al polmone nell’uomo. Nel 2015 con un lavoro simile Hans Clevers dell’Università di Utrecht ha accertato il ruolo di quattro mutazioni in altrettanti geni che portano a sviluppare il cancro del colon.
La scoperta delle “forbici molecolari” Crispr-Cas9 arriva nel momento giusto: feconderà l’enorme patrimonio di conoscenze che si sono accumulate sui genomi di piante e animali dal 2001 in poi, quando due gruppi di ricerca, uno pubblico e uno privato (la Celera Genomics di Craig Venter) portarono a termine l’epica impresa di decifrare completamente i 25 mila geni che formano il patrimonio ereditario umano.
Le applicazioni mediche sull’uomo saranno di grande portata: alcune hanno già dato risultati molto incoraggianti. Ma l’aspetto rivoluzionario delle “forbici” Crispr-Cas9 sta nella loro universalità. «Con questo sistema», ha scritto Emmanuelle Charpentier su Scientific American / Le scienze) abbiamo ora un mezzo di trasformazione del Dna efficace, versatile e accessibile, che moltiplica i mezzi per conoscere meglio il vivente e le sue potenzialità genetiche. Nel mondo delle piante potranno presto essere realizzate modificazioni genetiche senza inserire Dna estraneo, se non la sequenza desiderata: le nuove piante non saranno più, quindi, necessariamente transgeniche, ossia portatrici nel loro genoma di una sequenza di Dna estranea alla loro specie. Nel mondo animale potrebbero essere corrette specifiche malattie genetiche. A lungo termine, ogni cellula e organismo potranno essere modificati utilizzando Cas9, l’ultima tappa della domesticazione di forme viventi vegetali e animali che l’uomo attua da più di diecimila anni».
Se sono rose, fioriranno. Ma certo Emmanuelle Charpentier ha messo una bella ipoteca su uno dei prossimi premi Nobel per la Medicina.