Novantanove italiani su cento non sanno che nella Repubblica democratica del Congo si spara e si muore. Ma un italiano su due non sa neppure che in Afghanistan si combatte. Un dato che lascia sgomenti, dal momento che là è schierato un contigente di circa 4.000 militari e il nostro Paese piange 51 caduti. Le guerre si alimentano (anche) di colpevoli silenzi.
Chiunque potrebbe fare un semplice test: prendere carta e penna e scrivere, in tre minuti, una dopo l’altra le guerre in corso nel mondo. O meglio, quelle che ricorda. La lista, probabilmente, non arriverebbe a 10. Forse i più informatine metterebbero in fila 15. Eppure sono molte di più, le guerre: oggi, insanguinano 35 Paesi. Solo in Africa il “censimento”annovera 15 Stati devastati dalla violenza e dalle bombe. Un’altra decina di realtà del pianeta vivono tensioni, conflitti a “bassa tensione”, instabilità politica e militare.E le missioni Onu di pacificazione sono ben 15, in tutto il mondo.
Ma quanti italiani sono consapevoli di tutto ciò? Per rispondere a questa domanda Caritas italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno hanno chiesto, per la quarta volta, alla Swg di Trieste di realizzare un sondaggio sui “conflitti dimenticati”. I precedenti sono stati realizzati nel 2001, nel 2004 e nel 2008. In queste pagine presentiamo la sintesi e alcune delle tabelle sui risultati dell’indagine demoscopica, di cui verrà dato un resoconto completo e analitico in un libro dedicato per intero alle guerre dimenticate, che Il Mulino pubblicherà nel prossimo autunno.
Che cosa
emerge dal sondaggio? Innanzitutto che i conflitti sono ancora molto “dimenticati”: una guerra come quella dell’Afghanistan, di cui i mass media hanno parlato parecchio, viene ricordata da meno della metà del campione (il 46 per cento), quella libica dal 26, e il conflitto israelo-palestinese scende a 11 intervistati su cento. I conflitti africani, poi, stanno sempre a fondo scala: la
più che ventennale guerra civile somala viene
segnalata dal 5 per cento del campione,
quella del Darfur (in Sudan occidentale)
dall’8, quella congolese addirittura dall’1
per cento degli intervistati. Ma anche guerre
asiatiche come quella della Cecenia o del
Pakistan non superano il 2 per cento. E le pure
recentissime “Primavere arabe” dell’Egitto
(4 per cento) e della Tunisia (1 per cento)
sono già finite nel dimenticatoio.
Chiude il Congo, ancora con l'1 per cento.
La vera novità del sondaggio 2012 è comunque
il dato generale della crescita di
consapevolezza: «La rilevazione», spiega
Walter Nanni, il sociologo di Caritas che ha
curato con la Swg l’elaborazione dell’indagine,
«coglie alcuni segnali di trasformazione
nella coscienza collettiva nazionale: si passa
da un’attenzione genericamente umanitaria
per le guerre lontane, a un interesse più personale
e consapevole verso situazioni di conflitto
che sentiamo più vicine e che condizionano
la nostra quotidianità, se non altro per
l’effetto delle speculazioni finanziarie ed economiche
che le fomentano e che giungono a
intaccare i nostri stessi stili di vita».
Un sondaggio, quindi, con luci e ombre.
Ad esempio, se da un lato gli italiani ripongono
una fiducia crescente nelle Organizzazioni
non governative (il 37 per cento) e
nell’Onu (26 per cento), dall’altro il ruolo del
Governo italiano viene percepito come irrilevante
(solo il 4 per cento lo segnala).
«Per noi», dice Paolo Beccegato, direttore
dell’area internazionale della Caritas italiana,
«è importante l’aspetto culturale ed educativo
di una solidarietà intelligente e documentata. Il sondaggio, da questo
punto di vista, è una cartina di tornasole rilevante. Riguardando i
dati, sono particolarmente colpito dal quesito che ha chiesto al
campione di italiani se considera la guerra evitabile o inevitabile: solo
il 19 per cento lo considera un “male necessario” perché legato alla
natura dell’uomo. Il 79 per cento– e addirittura l’82 per cento fra i
cattolici praticanti – ritiene che il ricorso alla guerra sarà
superabile grazie all’evoluzione culturale dell’umanità».
«Credo che per questo sia importante continuare a parlare dei conflitti
dimenticati», sottolinea ancora Paolo Beccegato. «Per continuare a far
crescere questa sensibilità. Dobbiamo operare perché questo numero
continui ad aumentare. Magari fino al 100 per cento. Per Caritas è
fondamentale la costruzione della pace e della riconciliazione dal
basso. Ma è un lavoro che si basa sulla premessa della evitabilità della guerra».